Fra le molte novità introdotte nel 2007 dalla riforma dei servizi segreti, c’è la temporaneità del segreto di Stato: quindici anni più, eventualmente, altri quindici. Trenta al massimo, è stato stabilito. Ma ora una commissione governativa incaricata di studiare modifiche e migliorie suggerisce la possibilità di reiterare, dopo quella scadenza, la classificazione dei documenti da parte degli stessi servizi di sicurezza, secondo i loro canoni: segreto, segretissimo, riservato, riservatissimo. Che hanno altre regole e nuove decorrenze.
Non più segreto di Stato deciso dall’autorità politica, quindi, ma reintroduzione di un segreto di fatto; non opponibile al magistrato, ma a tutti gli altri sì. Se questa proposta verrà accolta, il messaggio lanciato dalla tanto attesa riforma sul segreto finalmente a tempo—nel Paese che ha una solida e sfortunata tradizione in materia di spionaggio deviato e trame oscure—finirà per diventare l’ennesima promessa non mantenuta. Un modo per far sospettare che si sia trovato l’inganno, dopo aver fatto la legge. Sappiamo che tecnicamente la materia è complessa, e che ci possono essere legittime ragioni per non divulgare un atto non più coperto dal massimo grado di riservatezza deciso dall’autorità politica. Tuttavia, com’è emerso nel dibattito avviato in seno al comitato parlamentare per la sicurezza, quello giunto dalla commissione governativa non sembra un segnale nella direzione della trasparenza. È invece proprio di trasparenza che avremmo bisogno. Anche in materia di segreti, per quanto paradossale possa sembrare. Il prossimo 2 agosto si celebrerà il trentesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna (85 morti e 200 feriti), che arriva a un mese dal trentennale della strage di Ustica (81 persone abbattute mentre volavano a bordo di un Dc9); fatti sui quali la verità giudiziaria è molto parziale, oppure non c’è. Lì i segreti di Stato non c’entrano, almeno ufficialmente.
Però c’entrano i depistaggi e le bugie, la scarsa collaborazione di alcuni apparati alle indagini, insomma tutto l’armamentario divenuto abituale nell’Italia dei misteri irrisolti. Ed è inevitabile che se i segreti sono destinati ad allungarsi anziché cadere prima o poi, dubbi e sospetti su verità nascoste in qualche archivio riservato finiscano per moltiplicarsi. L’Italia è anche il Paese dei complotti immaginari, delle inchieste sempre aperte e dei processi infiniti: a Brescia è in corso il dibattimento di primo grado per la bomba assassina di piazza della Loggia nel 1974 (8 morti e 102 feriti); e in Sicilia si sono riaperte le indagini sulle stragi del ’92 che lambiscono uomini delle istituzioni, nelle quali i Servizi riformati hanno fornito (riferiscono gli stessi inquirenti) un’adeguata collaborazione. Forse sarebbe opportuno che questo tipo di sensibilità portasse a trovare soluzioni diverse per tutelare le esigenze di sicurezza quando scade un segreto di Stato, che non sia un semplice e burocratico sbarramento. Anche per non alimentare falsi miti su indicibili arcani custoditi negli archivi inaccessibili; se davvero non c’è niente da nascondere, dovrà pur arrivare il giorno in cui sia consentito guardarci dentro.
Il Corriere della Sera 23.07.10