Ieri è stata una giornata di gloria per il Pd alla camera: tanti deputati presenti in aula, maggioranza bocciata per le assenze in votazioni sulle missioni all’estero e sulle quote latte. A conferma che c’è sbandamento fra le truppe del centrodestra, sulle grandi questioni come sulle minori.
Giustamente i democratici hanno enfatizzato il risultato. È chiaro però che soddisfazione di ieri (non la prima di questo genere) riguarda aspetti marginali di una legge sulle missioni poi votata in maniera bipartisan. Sulla partita grossa di questi giorni – le intercettazioni telefoniche – le opposizioni e il Pd in particolare non sono riusciti, anzi non hanno voluto, incassare il successo ben più rilevante di aver costretto Berlusconi a una evidente ritirata.
Leggendo i giornali ma soprattutto, cosa più grave, tastando il polso dell’opinione pubblica di sinistra, emergono molti vincitori: Fini, Napolitano, Repubblica e i giornalisti in generale, le colombe nel Pdl. Non figurano invece le opposizioni parlamentari.
E le opposizioni parlamentari non prendono gloria dalla vicenda nonostante il fatto che Berlusconi abbia fatto macchina indietro anche per paura di essere battuto alla camera da una maggioranza di cui loro sarebbero state magna pars.
Una situazione identica nella dinamica s’è verificata col caso Cosentino e le dimissioni del sottosegretario prima di essere sottoposto alla mozione di sfiducia a Montecitorio.
Il paradosso è dunque questo: che nel Pdl si accusa Fini di fare il gioco della sinistra; ma nei fatti fin qui è la sinistra, con la sua semplice esistenza, ad aiutare gli smarcamenti finiani. Ed è lui che incassa il dividendo delle sconfitte berlusconiane.
Perché questo paradosso? Perché Bersani, invece di rivendicare davanti alla propria gente il merito di quello che ieri Repubblica chiamava il dietro-front di Berlusconi, s’è limitato a dire: aspettiamo a vedere come si mettono d’accordo fra di loro, rafforzando l’impressione che ci sia un solo gioco in corso, quello nel centrodestra? C’è un grave gap comunicativo, e questo lo scriviamo da mesi a costo di risultare antipatici e saccenti. Se il Pd sale all’onore delle cronache solo per il suo ennesimo beauty contest interno (per di più trascinatovi da Vendola), la colpa non sarà solo delle iene dattilografe. Ma non c’è solo l’aspetto comunicativo. C’è anche un’analisi del quadro che induce a rimanere sempre un passo indietro.
È l’analisi che induce Bersani a correggere la proposta di D’Alema (il Pd avanzi una proposta per un governo di transizione) derubricandola: nel caso Berlusconi forzasse la mano con le elezioni anticipate, allora noi ci metteremmo di traverso aderendo a maggioranze d’emergenza.
Insomma, il gioco di rimessa. Lasciare il centrodestra a cuocere nel proprio brodo. Non si crede al collasso della maggioranza (Bersani l’ha detto esplicitamente) e comunque non si vuole lavorare per accelerarlo. Un po’ perché il Pd ha bisogno di tempo. Un po’ perché dopo l’accelerazione il traguardo potrebbe tagliarlo qualcun altro e non il Pd-portatore d’acqua.
Sono ragionamenti comprensibili. Fondati. Figli anche del ridimensionamento delle ambizioni “maggioritarie” del Pd. Può darsi che alla lunga (il passo dell’alpino, come ama dire il segretario) la strategia attendista e il low profile risultino vincenti.
Nel frattempo però l’impressione è che si perdano alcune buone occasioni. La sensibilità degli elettori è fragile e ferita. L’impazienza è evidente. Qualche volta può essere utile, senza eccessi retorici per carità, dare l’idea che si può vincere la posta grossa, e che intanto si porta a casa qualche importante posta intermedia.
A scanso di equivoci, questa è un’opinione in favore di Bersani. Perché si annuncia imminente la ridiscesa in campo di Walter Veltroni: e quando l’evento si verificherà, garantito, il partito sarà di nuovo proiettato verso gli orizzonti più ambiziosi e meravigliosi che un democratico possa sognare.
da Europa Quotidiano 22.07.10