«IL blocco della didattica annunciato dai ricercatori mi preoccupa molto. Come istituzione siamo interessati all´avvio regolare dei corsi. Ma il problema deve risolverlo la Gelmini. Per questo, con i rettori dell´Emilia Romagna, ho scritto al ministro. Avanzando tre proposte per non pregiudicare il prossimo anno accademico». Suona la sirena mentre Patrizio Bianchi parla dal suo ufficio, in viale Aldo Moro 38. Tutti fuori, lungo le scale, in pochi minuti. Falso allarme. Su una panchina, l´assessore regionale all´università cresciuto alla scuola di Romano Prodi, ex rettore di Ferrara, continua a parlare con passione, deciso a giocare un ruolo istituzionale di punta. E il suo pensiero non va solo ai ricercatori, che oggi si riuniranno in assemblea in Rettorato a Bologna (ore 15) per confermare la mobilitazione. Bianchi immagina cosa sarà l´istruzione universitaria in Emilia Romagna tra dieci anni, «non tra due mesi», ironizza pensando alle ultime riforme. Per questo sul tavolo della Conferenza tra Regione e Atenei dell´Emilia Romagna, che ora dirige al posto di Errani, ha aperto la partita più difficile: il futuro assetto del sistema universitario regionale. Partendo da un punto fermo: «No ai tagli».
Assessore Bianchi, quali sono le tre proposte inviate alla Gelmini da lei e dai rettori emiliani?
«Chiediamo, in accordo con la conferenza dei rettori, un piano straordinario che consenta la promozione ogni anno di almeno 2.000 ricercatori, sulla base di una valutazione; un fondo ministeriale di mobilità per permettere agli Atenei di effettuare chiamate dirette dalla lista nazionale degli idonei, altrimenti i soldi per chiamare docenti esterni non ci sono. E chiediamo meno vincoli per il turn over, per evitare il rischio di non avere più chi insegna e si occupa della gestione in università. Fuori dai tecnicismi? La posta in gioco è tra poter prendere un docente o tre».
Una risposta unitaria, quello che i ricercatori chiedevano.
«È un segnale importante, anche per le altre Regioni, che tiene conto del punto di vista dei ricercatori, a cui va tutto il nostro sostegno, e delle università che mentre mandano in pensione i professori non possono far entrare i giovani. Non staremo a guardare lo svuotamento dell´unico motore che potrà permettere al Paese di crescere e di uscire dalla crisi».
Vi state muovendo anche per un sistema universitario regionale sempre più integrato, come per il diritto allo studio?
«Non proponiamo l´università dell´Emilia Romagna, ma c´è la volontà dei quattro Atenei di essere complementari, nel rispetto delle autonomie, nell´offerta formativa e nei centri di ricerca. Saranno eliminati i doppioni, sarà una razionalizzazione che guarda allo sviluppo, non punitiva».
Qualche esempio?
«Nell´area sanitaria forse ci vorranno ben più di quattro corsi per infermieri, visto il fabbisogno, mentre magari le scuole per ortottisti o di grande specializzazione non dovranno essere necessariamente in tutti e quattro gli Atenei. L´ingegneria ha bisogno di specializzazioni forti, le lauree scientifiche vanno rilanciate. Altra ipotesi: abbiamo quattro facoltà di Economia, perché non indirizzare Modena verso il marketing, puntare sull´alimentare a Parma, sull´internazionalizzazione a Bologna e la gestione dei musei a Ferrara? La discussione è aperta».
Ma con i tagli previsti dalla Finanziaria gli Atenei non chiuderanno i bilanci nel 2011. Che fare?
«È un dramma. L´idea che ha questo governo di riforme fatte con il bastone non ci appartiene. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, ma non con questi tagli. Su questo il Governo deve fare un passo indietro».
La Repubblica/Bologna 20.07.10
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