Forse, più che P3, dovremmo chiamarla Ip, Italia perenne. È meno giornalistico, ma più verosimile. Raccontata ai giovani che non l’hanno vissuta, la storia della P2 fu storia diversa, chissà se conclusa del tutto, dalla cosiddetta P3. La P2 (Propaganda 2) era una loggia segreta (“coperta”) di una scheggia della massoneria, proibita – in quanto segreta – dall’articolo 18 della Costituzione. Presieduta dal “venerabile” Licio Gelli, perseguiva, affari a parte, un piano politico eversivo: il “Piano di rinascita democratica”, scoperto nei primi anni ’80, quando l’Italia era preda di code del terrorismo, di malessere sociale dei delusi e degli esclusi dallo sviluppo, di esaurimento della capacità direttiva della Dc dopo quasi 40 anni di guida del governo. Riuniva circa mille fra generali, banchieri, professionisti, grands-commis dello stato, giornalisti, industriali; e anche faccendieri per le briciole, nodello Carboni.
La scoperta del piano e la pubblicazione dei nomi, soprattutto di generali e funzionari che avevano giurato fedeltà alle istituzioni, e poi avevano giurato alla Loggia di abbatterle con un golpe morbido che partiva dalla conquista della Rai e dei giornali, risvegliò l’encefalogramma piatto della politica. Nacque la commissione d’inchiesta parlamentare, diretta da Tina Anselmi, che scoperchiò tutto, e aprì la strada alla legge per lo scioglimento delle società segrete, impropriamente detta “legge Anselmi”. Si tratta in realtà della legge Spadolini, il primo presidente laico del consiglio dopo i 40 anni Dc, che diede alla magistratura lo strumento per sciogliere la P2. Il suo carattere segreto ed eversore era stato messo in luce dalla commissione d’inchiesta, che aveva operato coi poteri dell’autorità giudiziaria.
Chi ha studiato le caratteristiche della P2, unitarie nel fine eversivo, non le ritrova nella cloaca odierna, che è solo la classica cloaca italiana della decadenza. In essa confluiscono fogne diverse. C’è la fogna fiorentina, che vede ripetutamente citato il neopolitico Verdini, uscito dal cilindro di Berlusconi come coordinatore nazionale (insieme a Bondi e La Russa) del Pdl. C’è la fogna campana, che ha costretto alle dimissioni il sottosegretario all’economia Cosentino, padre padrone del Pdl in Campania, con solidi legami coi casalesi, e perciò inseguito da mandati d’arresto e ora accusato di calunnie, mirate a impedire la candidatura di Caldoro a governatore. C’è la fogna sarda, che ha portato il governatore berlusconiano Cappellacci davanti ai pm di Roma per la questione dei mulini d’oro, cioè delle pale eoliche tangentogene, che hanno finito di scempiare la Sardegna, già devastata dall’edilizia miliardaria. Tutte queste cloache sboccano a Roma (dove da tremila anni c’è la Cloaca Massima), perché nella capitale sono i referenti naturali della grande corruzione: ministri, sottosegretari, generone, cardinali, magistrati, parlamento, ambasciate, rappresentanze delle grandi industrie, delle banche, dei grandi studi professionali.
Nulla però di unitario, com’era invece dichiarato nella P2: salvo il banditismo politico-affaristico, sifilide dell’eterno bordello italiano, che Berlusconi vorrebbe curare col nero fumo del divieto d’intercettazioni. Al più, si potrebbe parlare di una seconda Tangentopoli, non figlia di tutta la partitocrazia ma della ricordata malattia, che porta a identificare il governo con la corruzione e l’esercizio del potere col piacere di abusarne. Al momento, i pm perseguono reati diversi: c’è la violenza privata in Campania (a danno di Caldoro), c’è la concussione nei pubblici uffici, c’è la corruzione tentata anche da magistrati nei confronti di altri magistrati. Per questi reati così diversi sono stati arrestati, «per violazione della legge Anselmi», cioè Spadolini, che invece configura il reato associativo, il signor Flavio Carboni («pensionato sfigato», finge di ironizzare Berlusconi, alludendo al suo precedente arresto per la P2), l’ex giudice tributario Pasquale Lombardi, per pressioni sulle più svariate magistrature per ottenere promozioni, trasferimenti, sistemazioni di carriera, richieste di ispezioni ministeriali nelle procure scomode; e l’ex assessore socialista di Napoli Martino, quello che si caricò d’aver presentato a Berlusconi il papà di Noemi Letizia e che è accusato d’aver messo su con Cosentino il dossier contro il “compagno” Caldoro. Infine (si fa per dire) il coordinatore fiorentino del Pdl, Verdini, sospettato anche d’aver promosso in casa un summit per esercitare pressioni sulla Cassazione per il lodo Alfano, presenti i nominati Carboni e Martino, i magistrati Miller – capo degli ispettori – Martone, avvocato generale della Cassazione, e Caliendo, sottosegretario alla giustizia.
Ci fermiamo, anche se la storia è infinitamente più ampia, con tanti nomi e altri fatti allucinanti, come la nomina forzata di Alfonso Marra a presidente della corte d’appello di Milano, cioè a primo magistrato della Lombardia. Guarda caso, quante toghe non “rosse” svolazzano per l’Italia come pipistrelli. C’è da chiedersi perché i magistrati inquirenti, avendo da correre intere praterie del codice penale, siano andati a riscoprire la legge Spadolini, cioè la fattispecie penale di più difficile concretizzazione, il reato associativo. Difatti nessuno, nemmeno Gelli e i piduisti condannati per reati vari, è stato condannato per il reato di società segreta. Secondo me, la risposta valida l’ha data Massimo Teodori, che ieri Sandra Bonsanti di “Libertà e giustizia” ricordava tra i più infaticabili componenti della commissione Anselmi. Il ricorso al reato associativo da parte degli inquirenti sembra un grande coperchio messo sul pentolone, perché, essendo l’associazione segreta il reato più grave tra i tanti che si delineano, consente agli inquirenti di tenere tutte le indagini a Roma. Dove i vertici del malgoverno dovrebbero essere ormai attenti a non inquinare le prove. E poi, se le prove lo consentiranno, formulare richieste di rinvio a giudizio e anche di arresto per singoli reati: appunto, violenza privata, corruzione, concussione. E quant’altro la fantasia di faccendieri e malavitosi pratica da sempre, sperando nell’impunità politica e nella tolleranza omertosa dell’Italia perenne.
Europa quotidiano 20.07.10