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"La Bindi ossessione del Cavaliere" di Francesco Merlo

La prima volta che insultò la Bindi ho scritto che era maleducato. Ma adesso è diventato un problema di farmacia. Berlusconi che insolentisce ancora Rosy Bindi, ossessivamente e con la stessa litania, non è più un avvenimento che può essere affrontato da un polemista.
Ci vuole qualche pillola per tenerlo a bada. E non è più il caso di mostragli uno specchio o di ricordare cosa raccontano quelli che hanno avuto l’avventura di incontralo di mattina presto, con il viso sfatto, senza cerone e senza trucco, piccolo, rotondo e cadente, con la pelata in libertà e l’alito guasto… No, Berlusconi non ha più bisogno di qualcuno che gli rammenti la sua verità estetica. Ha invece necessità di una terapia. E infatti non mi viene più in mente che si tratta di volgarità e non gli consiglio più qualche buona lettura, il bon ton, il galateo e neppure di ritornare ai comportamenti antichi, a rimettere in campo quella cavalleria maschile che ai tempi della sua formazione e nel suo ambiente era un valore.

Il fatto è che un premier che racconta barzellette salaci e fa battute oltraggiose va biasimato e magari anche stroncato. Ma suscita una sincera pietà un premier che si riduce a raccontare sempre la stessa barzelletta, un uomo potente che si degrada all’impotenza di ripetere sempre la stessa battuta, e ogni volta ingiuria, sempre con le stesse parole, la stessa signora che, fra l’altro, non è il capo dell’opposizione, non è il suo avversario diretto, non è neppure il vigile del quartiere che gli fa le multe, non ha una presenza invasiva nei suoi ambienti, non è la più esagitata dei suoi nemici politici, ma è invece una donna tranquilla, anche nell’aspetto, che dice le cose tranquillamente anche quando polemizza e punge. Ecco: aggredire gratuitamente Rosy Bindi sempre e solo sul piano estetico è un invasamento paranoico.

E non è possibile che Berlusconi ieri, nel visitare una università, non sapesse di commettere una mascalzonata tirando in ballo Rosy Bindi e villanamente offendendola, senza ragione apparente, a freddo, non più da gaglioffo smanioso di mordacità ma da povero uomo ormai basito e patetico. È insomma probabile che egli creda di avere messo in atto un diversivo e abbia dunque ricicciato la sua malsana ostinazione pensando di distrarre gli italiani dalla cricca, dalla P3, dalle malefatte nel nome di Cesare… Ebbene, se è così è ancora più straziante vedere quell’uomo che, comunque è stato corpacciuto e soddisfatto di sé, diventare goffo e sconnesso. Nessuno, neppure il più feroce dei suoi detrattori, può oggi godere dinanzi allo spettacolo di un vecchio imperatore tenuto in piedi da un rabbia tristissima.

Qui infatti non c’è la disperazione che presuppone una forza, non c’è l’inventiva delle vecchie genialità che gli permisero di rilanciare, di spostare il campo da gioco. Ridire, rifare, ripetere, reiterare sempre lo stesso insulto è patologia affliggente e mesta, è un comportamento smisurato e al tempo stesso striminzito. Sono infatti diventate un unico tic villano le famose trovate spiazzanti, la nave e la bandana, il lifting e le corna… Non c’è più la creatività e non c’è la fantasia della diplomazia del cucù. C’è invece quel folle desiderio di farcela che a volte assale i vecchi e i malati terminali. Roba straziante. Verrebbe quasi voglia di aiutarlo. Suscita un’illogica solidarietà. Come una candela che si spegne.

Più significativo di cento consigli dei ministri, più illuminante della battaglia contro Fini e delle cene nella casa-covo di Bruno Vespa, questo lungo insulto alla Bindi è l’ululato di un leader che si sta sfinendo lontano dalla Storia.

La Repubblica 20.07.10