Senza il titolare si è aperta la caccia a fondi e competenze
A Fitto i Fas, la Prestigiacomo punta sul nucleare e la Brambilla sulle risorse al turismo La manovra taglia dotazioni per 900 milioni. E Sacconi gestisce i casi Glaxo Fiat e Telecom
Eutanasia di un ministero, spolpato dalla voracità degli altri dicasteri, dalle lotte interne, dalla lucida strategia di Giulio Tremonti, super ministro monocratico dell´Economia tutta.
Il palazzone di Via Veneto, firmato da Piacentini e Vaccaro, che fu sede del ministero delle Corporazioni è lì immobile ma sembra che non serva più. Perché il ministero dello Sviluppo economico praticamente e politicamente è scomparso da oltre due mesi. Da quando Claudio Scajola ha dovuto dimettersi travolto dallo scandalo della casa con vista sul Colosseo comprata non si sa da chi, il ministero ha perso competenze, risorse, potere. È retto formalmente ad interim dal premier Silvio Berlusconi, ma in realtà è diventato un´altra incombenza del sottosegretario Gianni Letta. I dipendenti hanno chiesto aiuto a Berlusconi, i dirigenti hanno scritto al presidente Giorgio Napolitano. Lo hanno fatto anche alcuni deputati dell´opposizione. Le aziende protestano per gli incentivi che non arrivano più. In Parlamento cominciano le interrogazioni sul “caso ministero dello Sviluppo economico”. Ministero fantasma.
L´ultima manovra economica è passata sullo Sviluppo economico come un caterpillar, togliendoli solo come antipasto quasi 900 milioni di dotazione. L´Ipi, l´istituto per la promozione industriale, poi, è stato soppresso e pochi – va detto – se ne accorgeranno. Ma la perdita della gestione dei fondi Ue e del Fas (Fondo per le aree sottosviluppate) ha ben altro valore. Sono finiti entrambi in mano alla presidenza del Consiglio che ha poi delegato Raffaele Fitto, ministro per gli Affari regionali, a cui è andato di fatto il Dipartimento per le politiche dello sviluppo (Dps), conteso a inizio legislatura proprio tra Scajola e Tremonti. Sarà sempre Fitto, ora, a dover varare il piano per il Sud che da Via Veneto, reggente Claudio Scajola, non era mai uscito.
Più o meno un miliardo di euro dello Sviluppo facevano gola al ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla. E qui entra in campo il direttore generale dello Sviluppo economico Gianluca Maria Esposito, classe 1971, professore di diritto amministrativo a Salerno, con una fitta rete di relazioni nella politica (fino a Berlusconi via Brambilla) ma anche, per esempio, nella Guardia di Finanza (si dice che abbia un rapporto molto stretto con il generale Paolo Poletti, attualmente vicedirettore dei servizi segreti dell´Aisi) attraverso cui ha cercato di avvicinarsi al ministro Tremonti. Forse anche per strappare la nomina ad amministratore delegato di Invitalia (ex Sviluppo Italia) al posto di Domenico Arcuri. Fatto sta che il ministro Brambilla e lo Sviluppo economico, con il direttore Esposito, avrebbero sottoscritto un´intesa per utilizzare circa 800 milioni di euro, destinati alle Regioni, nell´ambito di un piano straordinario di sostegno al turismo. Un accordo che ha fatto infuriare il diretto superiore di Esposito, il capo dipartimento Aldo Mancurti, il quale in una lettera stizzita allo stesso Esposito ha rimarcato gli errori contenuti nello schema di accordo «impropriamente – ha scritto – definito intesa istituzionale di programma». E poi ha concluso: «Mi auguro non sia stato già sottoscritto, come da te comunicato per mail, dai due ministri senza passare le vie ufficiali per le dovute valutazione e revisioni».
Una guerra interna al ministero che è arrivata in Parlamento dove tre deputati del Pd (Ludovico Vico, Andrea Lulli e Ivano Strizzolo) hanno presentato un´interrogazione per sapere se è vero l´accordo, che interviene su materie di competenza regionale, ma anche per denunciare il tracollo degli incentivi alle imprese. Il 24 giugno, infatti, circa 150 imprenditori vincitori delle agevolazioni previste da “Industria 2015” hanno scritto a Berlusconi perché, dopo quindici mesi, non hanno visto un euro e questo finirà per rendere difficile «realizzare gli obiettivi condivisi dal ministero». Un ministero dello Sviluppo che non fa quasi nulla per sostenere la crescita. La politica industriale ormai è diventata una parolaccia. Non un paradosso, però: piuttosto, un pezzo della “strategia della flemma” (tagli e rigore) messa in campo da Tremonti. E condivisa dal titolare del Lavoro, Maurizio Sacconi, entrato prepotentemente in campo nelle vertenze Glaxo, Fiat-Pomigliano e Telecom. Sacconi sta occupando uno spazio tradizionalmente del ministro dell´Industria. Sacconi-Tremonti hanno dallo loro la Cisl e la Uil. E una sorta di appeasement arriva dalla Confindustria.
Sacconi, ma anche Stefania Prestigiacomo (Ambiente) e Franco Frattini (Esteri) puntano a rosicchiare territori del ministero che fu dell´Industria. La prima non ha detto no alla scelta nucleare ma vuole farsi sentire nella nomina dei componenti dell´Agenzia. Primo passo per arrivare a condizionare anche la scelta dei siti sui quali costruire le centrali. Frattini ha probabilmente solo rinviato (d´intesa con Tremonti ma tutto fa pensare anche con Berlusconi) l´assalto all´Ice (l´Istituto per il commercio estero). Resiste il viceministro Adolfo Urso, finiano, titolare proprio del Commercio estero.
Tremonti intanto ha invertito il potere di nomina alla Sogin e alla Sace: ora sono di competenza dell´Economia in concerto con lo Sviluppo economico. Il ministro dell´Economia pare abbia pensato all´interim per sé, ma anche a una fusione ministeriale oppure a unificare il capo di gabinetto. È una strategia espansiva la sua, che non contempla contropoteri. Al ministero dello Sviluppo sono aperti, come si dice, quasi 200 tavoli di vertenze di aziende in crisi. Hanno scritto al presidente Napolitano anche cinque parlamentari dall´opposizione (Andrea Lulli, Filippo Bubbico, Gabriele Cimadoro, Patrizia Brugnano e Giuseppe Astore): «Con il passare dei giorni si ha la sensazione che l´esito di questa vicenda si avvii verso lo smantellamento di funzioni vitali di un dicastero che si dovrebbe occupare di questioni essenziali come le liberalizzazioni e la concorrenza, oltre ad affrontare le vertenze delle aziende in crisi». Tremonti agisce. Berlusconi tace mentre si combatte intorno alle spoglie del suo ministero ad interim. E non può essere un caso.
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