La carenza di maestri elementari ha costretto il provveditorato a cancellare 138 prime classi di tempo pieno fra città e provincia, trasformate in tempo “normale”, con i ragazzini a scuola fino a mezzogiorno. In Lombardia gli insegnanti che mancano per formare le classi sono 2.233, da rimpiazzare se possibile con insegnanti precari. In altre regioni, invece, le maestre sono più numerose di quante ne servirebbero: da settembre 2.207 maestri, non avendo una classe in cui insegnare, saranno considerati “a disposizione” per attività di sostegno e altri progetti. In Campania i docenti in esubero, assunti e stipendiati, sono 847, in Sicilia 526, in Puglia 255. Questa disparità, che punisce Milano più di ogni altra città, è la conseguenza del (non) metodo con cui sono stati fatti i tagli di personale dalla riforma Gelmini. Il provveditore Giuliana Pupazzoni si augura che “il governo tenga conto di questa situazione poco omogenea, e trovi rimedi”.
Quest’anno, per la prima volta nella storia della scuola pubblica, il provveditorato non ha potuto assecondare le richieste delle famiglie sulla scuola dei loro figli. A Milano il tempo pieno è stato richiesto dal 98,7 per degli studenti che a settembre cominceranno la prima, ma il taglio di 481 maestri fra città e provincia ha negato una sezione di tempo pieno a molte scuole, ad alcune addirittura due: succede al centralissimo istituto di via Giusti come all’elementare di via Monte Piana e quella di via Zuara. Il direttore scolastico regionale Giuseppe Colosio va ripetendo che “in un periodo di ristrettezze economiche, i sacrifici sono inevitabili per tutti”. È un dato di fatto, e non riguarda solo la scuola. Ma come è possibile allora che altrove in Italia i provveditorati si debbano mettere d’impegno per trovare qualcosa da far fare a insegnanti che non hanno dove insegnare? La risposta è semplice: se in Lombardia mancano 2mila docenti e altrove ce ne sono 2mila in più, per le tabelle del ministero i conti tornano, la somma fa zero. La dinamica che ha generato questa disparità non è semplice né logica.
Anzitutto, la popolazione scolastica nel Nord Italia (in Lombardia in particolare) aumenta con l’immigrazione. Nelle regioni meridionali invece il numero degli studenti è in costante diminuzione, e per questo si formano meno classi. Gli insegnanti in esubero, però, non vengono trasferiti, ma restano assegnati alla propria provincia. Un altro elemento che ha contribuito a generare la disparità è il grande numero di insegnanti assunti al nord negli anni passati, che sono poi tornati a casa. La riforma Gelmini, infine, ha cancellato il “modulo”, quel modello didattico che alle elementari prevede il ritorno a scuola al pomeriggio per alcuni giorni alla settimana, con tre insegnanti che ruotano su due classi. Le sezioni che lo prevedevano sono passate a fare lezione solo al mattino, e la terza maestra “avanza”.
E qui viene il problema: in alcune regioni il modulo era richiesto da molte famiglie, e di conseguenza le maestre in avanzo sono tante. In Lombardia no: qui è il tempo pieno, con due insegnanti per classe, il modello più richiesto. E ora a rischio. Pippo Frisone, della Flc-Cgil, spiega: “I tagli assegnati a Milano e alla Lombardia sono stati il doppio dei pensionamenti, il che produrrà una diminuzione dell’occupazione e del precariato storico, oltre a disastrosi disagi per le famiglie”.
La speranza del provveditore Pupazzoni è che il ministero recuperi fondi necessari per garantire il tempo pieno a Milano. Nei prossimi giorni il direttore Colosio sarà a Roma, per incontrarsi con i suoi colleghi di tutta Italia e discutere di organici. Ma di buone notizie non ne sono attese. Rita Frigerio, di Cisl scuola, dice: “Bisogna trovare una soluzione che dia dignità alla scuola milanese. Presidi e insegnanti cercano di inventarsi modelli didattici compatibili con tutti i tagli di insegnanti fatti, ma la coperta è corta”.
La Repubblica/Milano 19.07.10