Ha scritto Guido Tabellini, rettore dell´università Bocconi: “Accanto all´emergenza economica e all´urgenza di risanare la finanza pubblica, vi è oggi in Italia una terza gravissima emergenza: la diffusione di illegalità, corruzione, spregio per le leggi e le istituzioni pubbliche…Le tre emergenze sono collegate fra loro e si autoalimentano” (“Il Sole 24Ore” del 4 luglio). Verissimo. Le cronache di questi giorni – gocce in un vaso da tempo già pieno – inducono a completare questa analisi.
comportamenti illegali, in quanto tali sanzionabili, sono il prodotto di un ambiente intriso da una mucillagine pervasiva di comportamenti che si possono definire para-illegali: non necessariamente configurabili come reati, ma non meno dannosi alla crescita e alla stabilità del sistema.
La raccomandazione, la segnalazione, l´”intervento autorevole”, se andati a buon fine, non richiedono necessariamente la dazione immediata di un corrispettivo (con la possibile commissione di un reato) a chi ha concesso il favore; questi registra a futura memoria un credito verso chi ha chiesto il favore e, se persona diversa, verso chi ne ha beneficiato (do ut dabis). Questo reticolo di obbligazioni reciproche, se consentito, alimenta la sua stessa diffusione, poiché fa crescere la popolazione interessata e disposta alla ricezione e alla restituzione di favori. Ai nodi forti di quel reticolo si collocano gruppi di persone “che contano”: particolarmente potenti per l´ampiezza dei loro contatti e per la capacità di influenzare le altrui decisioni.
È forse ingenuo ritenere che quei gruppi si organizzino come associazioni segrete, dotate di simboli e di parole d´ordine. La loro forza consiste piuttosto nella consapevolezza che bisogna ottenerne l´assenso e sollecitarne l´aiuto per arrivare a certe mete; nella convinzione, forse esagerata, ma popolarmente diffusa, che “per andare avanti, per fare carriera bisogna conoscere le persone giuste” – giuste per capacità di maneggio e non certo per anelito di giustizia.
I guasti che un tale assetto mucillaginoso arreca allo sviluppo economico dovrebbero essere palesi. Vi sono anzitutto costi misurabili in termini di risorse male impiegate: sottratte al miglioramento dell´efficienza, sia delle imprese sia delle persone, e dunque a un aumento della produzione, per dedicarle invece alla coltivazione delle “persone giuste”, che possono condizionare la concessione di un permesso o una nomina. Il sistema produce poi esiti ancor più nocivi di selezione avversa, non essendovi una relazione fra capacità di inserimento nel reticolo dei rapporti di favore, da un lato, e efficienza e produttività, dall´altro: chi prevale non è necessariamente il migliore, né è sempre peggiore chi resta indietro. Questi costi sociali, di distrazione di risorse e di selezione avversa, elevati e in aumento, riducono la capacità di crescita del nostro paese.
Eppure proprio da noi, ma non altrove, si sostiene che non possa esservi censura sociale o politica, e neppure pubblicità, per atti e comportamenti di cui non si sia accertata, in via definitiva, la rilevanza penale. Anche i giudici, pur per motivi opposti, paiono adeguarsi a volte a questa dottrina, come avviene quando cercano di configurare come penalmente rilevante qualsivoglia comportamento socialmente dannoso (sovente regalando un´aureola di martirio quando segue un´assoluzione). La progressiva distruzione di capitale sociale a cui quei comportamenti concorrono, l´inquinamento ambientale prodotto dal reticolo mucillaginoso di resa e ricezione di favori producono effetti nefasti, documentati anche da una buona letteratura, ma non trovano rubrica nel codice penale.
In altri paesi la politica e la società sanno infliggere sanzioni, politiche e sociali, senza dover sempre cercare una via giudiziaria, perché riconoscono l´esistenza di illeciti politici e sociali, tali anche se non costituiscono reato in senso tecnico. L´irrogazione di quelle sanzioni poggia su una condivisione di valori e ha come strumento la trasparenza e l´informazione, che mobilita l´opinione pubblica. “Non vi è miglior disinfettante della luce del sole” diceva un grande giudice americano: ma pare che si pensi di toglierci anche quella.
La Repubblica 19.07.10