«Verifichiamo insieme la ripartizione dei tagli anche alla luce delle manovre precedenti; e per combattere gli sprechi verifichiamo i costi di funzionamento di tutta la pubblica amministrazione, partendo dalle varie società partecipate». Vasco Errani, presidente dell’Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni, rilancia la palla al governo e torna a sollecitare la ricerca di un’intesa sui tagli della manovra, dopo la dura contrapposizione delle scorse settimane.
Le Regioni avevano minacciato di rispedire al governo le deleghe sulle materie “tagliate”. Poi è cambiato qualcosa?
«No. Abbiamo semplicemente preso atto che anche alla Camera è stata posta la fiducia, e abbiamo accantonato questa proposta, che comunque è stata una provocazione utile. Ma ripetiamo quello che abbiamo sempre detto. Cioè che la manovra è insostenibile, perché riduce i servizi a cittadini e imprese, e che serve invece una leale collaborazione tra i vari livelli istituzionali. Noi vogliamo discutere: i tagli oltre ad essere squilibrati mettono obiettivamente a rischio il federalismo fiscale. Detto questo, le decurtazioni dei trasferimenti scatteranno dal primo gennaio 2011 e da qui alla Finanziaria noi continueremo a lavorare per convincere il governo a rivedere i saldi che riguardano le Regioni, lasciando intatti quelli complessivi della manovra».
Sembra però che si sia aperta qualche crepa al vostro interno, con le Regioni guidate dai leghisti e con quelle in deficit sanitario.
«Ma con i presidenti leghisti ci siamo trovati d’accordo sul fatto che la manovra è insostenibile, anche se si è valutato di non chiedere più il ritiro delle deleghe; mentre sui problemi delle Regioni sottoposte a piano di rientro noi vogliamo lavorare, nell’ambito però della Conferenza, non con tavoli separati».
Perché il federalismo è a rischio?
«Perché questa riforma, che noi abbiamo fortemente voluto, prevede che il federalismo si faccio a costo zero. E invece ora si tagliano proprio i trasferimenti che avrebbero dovuto essere “fiscalizzati”. Non vorrei che con questo ragionamento si andassero poi a risparmiare 4 miliardi sulla sanità anticipando il decreto sui costi standard».
Che c’è di male a risparmiare sulla sanità?
«Risparmiare è giusto ma questo tema non può essere affrontato solo in chiave ragioneristica. Oltre a individuare i giusti costi delle prestazioni vanno individuati i livelli delle prestazioni. Perché i Lea, i livelli essenziali di assistenza, sono ancora bloccati al ministero dell’Economia pur essendo già stati concordati tra Regioni e ministero della Salute? Eppure questa dei Lea è l’altra gamba dei costi standard.
Torniamo alla manovra. Se si riaprisse il confronto quale potrebbe essere il punto di equilibrio? Si è parlato di uno “sconto” di un miliardo.
«Quando sono girate cifre, noi abbiamo sempre detto ai nostri interlocutori: fate una proposta concreta, che non ci è mai stata fatta. Credo che questa sia una dimostrazione di serietà da parte nostra. Continuiamo a chiedere al governo un tavolo per capire e condividere i riferimenti finanziari. Siamo pronti a fare una verifica anche contando tutto l’ultimo biennio, compreso l’effetto del decreto 112, per vedere come sono stati ripartiti i tagli tra i diversi livelli istituzionali. E si vedrà che la nostra quota va rivista. Il ministro dell’Economia ha detto che l’austerità riguarda tutti. Sono pienamente d’accordo, deve riguardare tutti, anche le amministrazioni centrali. Ricordo che negli ultimi tre anni noi abbiamo contribuito a ridurre il debito pubblico del 6 per cento, mentre per la quota dello Stato centrale c’è stato un aumento del 10».
Però le Regioni non sono immuni da sprechi. L’unica intesa con il governo riguarda una commissione per verificarli.
«È una proposta che ho avanzato io, la rivendico. Se si sgombra il campo dall’uso scorretto delle cifre, se si rinuncia alla propaganda sui dati, noi siamo pronti. Esaminiamo tutti i costi e prevediamo un meccanismo premiale per i comportamenti virtuosi. Iniziamo dal ruolo delle società partecipate e dei vari enti, dalle amministrazioni centrali fino alle Regioni e ai Comuni».
Il Messaggero 18.07.10