Le sentenze dei magistrati si rispettano, ma si possono commentare. La decisione dei giudici amministrativi sulle elezioni regionali in Piemonte ha innescato, per la felicità dei giuristi, una ridda di interpretazioni e di pareri contrastanti. Per il comune cittadino, invece, la reazione, di sorpresa e di sconcerto, è stata abbastanza comune. Di fronte a due litiganti, ci si aspetta un verdetto che dia ragione o all’uno o all’altro. Al contrario, davanti a due strade, i giudici del Tar ne hanno individuato non solo una terza, persino una quarta e una quinta. Dalla giustizia si chiede la riduzione delle tesi contrastanti in una sola verità. Come si può non esprimere un sentimento di perplessità, quando da una camera di consiglio nasce una moltiplicazione delle ipotesi? A tutela del lettore, e magari anche dell’autore, è bene evitare di scendere in dettagli giuridico-amministrativi che, una volta e chissà perché, si attribuivano alle propensioni contorte di menti bizantine. Ma con qualche azzardo, il mestiere impone di tentare una semplificazione.
Contro la vittoria del leghista Cota, alla Regione Piemonte, erano stati presentati ricorsi per quattro liste a lui collegate. Respinto quello sui «Verdi-Verdi», i giudici hanno sospeso la decisione per la lista «Pensionati per Cota», in attesa del processo penale. Hanno ordinato, invece, il riconteggio dei voti per due liste, «Consumatori» e «Al centro con Scanderebech», considerandole presentate in modo irregolare. Il buon senso del cittadino, benché già un po’ provato, potrebbe a questo punto sentirsi meglio, nell’ipotesi che tutto si possa risolvere con una, sia pure faticosa, operazione aritmetica: se Cota risulta vincitore anche senza i voti delle due liste, ma con quelli espressi alla sua persona, quale candidato collegato alle liste incriminate, il verdetto viene confermato; altrimenti avrà vinto la sua competitrice, Mercedes Bresso. Troppo facile: la legge prevede che basti la croce su una lista, per contare quel voto anche per il candidato presidente di quella coalizione elettorale. Poiché non è ammessa ignoranza, se non c’è una esplicita volontà di dare il cosiddetto voto disgiunto, le intenzioni del cittadino devono essere rispettate anche in questo caso.
Ancora troppo facile: la presentazione di liste irregolari, hanno sentenziato i giudici, altera la composizione dell’intero consiglio regionale. Allora, penserebbe il sempre sbalordito cittadino, quei magistrati hanno deciso di far tornare i piemontesi alle urne? No. Non è detto: tutto è demandato a una prossima udienza e a un futuro di ricorsi, appelli, sospensive, rinvii… E’ vero che il sospetto è l’anticamera del peccato, ma, come ricorda uno che di peccati e di sospetti se ne intende, Giulio Andreotti, molte volte ci si azzecca. Non sarà che i nostri giudici abbiano voluto evitare di prendersi la responsabilità di una scelta chiara, di accollarsi il peso di un verdetto che avrebbe indignato sicuramente il cinquanta per cento degli elettori? Una domanda forse maliziosa, ma che rivela anche l’illusione di potersi sottrarre all’ingrato compito: quella responsabilità, infatti, cacciata dalla finestra, rientra dalla porta. E’ la responsabilità di provocare, in un momento già difficile, una confusa situazione di ingovernabilità, di impotenza decisionale, di polemica e di tensione politica intollerabile. E queste conseguenze sono più gravi di quelle che avrebbe suscitato una scelta netta e comprensibile a tutti.
Si parla spesso di una magistratura messa sotto accusa dalla politica per motivi strumentali. Molti giudici si lamentano del mancato rispetto nei loro confronti. Ma, in alcuni casi, sono i magistrati stessi a intaccare la loro credibilità e la loro autorevolezza. Quando, come ha efficacemente scritto sulla Stampa di ieri il professor Carlo Federico Grosso, adottano comportamenti che ledono la loro immagine di imparzialità. Ma anche quando non sentono l’urgenza e il dovere di assumersi la loro «coscienza di responsabilità».
La Stampa 17.04.10