Dopo circa 21 anni dalla legge n. 168 del 1989 in cui veniva riconosciuto alle Università Italiane il diritto di autonomia statutaria così come espressamente richiamato dall’articolo 33 della Costituzione della Repubblica Italiana, con la legge n. 165 del 2007 (modificata in seguito con l’articolo 27 della legge n. 69 del 2009) anche per gli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) vigilati dal Ministero dell’Università e della Ricerca, si è inteso procedere alla realizzazione di statuti autonomi, corrispondendo in tal modo al dettato costituzionale.
A questo fine il decreto legislativo n. 213 del dicembre 2009 definisce le modalità e i limiti per la realizzazione di questi statuti (di enti quali il CNR, l’INAF, l’INGV). Di fatto questo decreto restringe i limitati margini di autonomia imposti dalla legge delega con vincoli che minano alla base la dichiarata autonomia statutaria.
Gli scienziati e il personale di ricerca sottoscrittore di questo appello, consapevoli della straordinaria rilevanza che potrebbe assumere per l’attività di ricerca –e quindi per il beneficio che ne conseguirebbe al Paese- un reale processo di autonomia (nel quadro complessivo di una più stringente valutazione e di un indirizzo strategico affidato alla politica per conto della società) esprimono forte preoccupazione e disagio tanto per i vincoli introdotti nel decreto legislativo 213, quanto per le modalità con cui si sta procedendo alla realizzazione di statuti cosiddetti “autonomi”.
Non si comprende infatti come sia possibile declinare il concetto di autonomia di un ente scientifico quando si esclude del tutto la comunità scientifica interna di questo ente. In particolare si chiedono come sia possibile che:
1) nell’organismo predisposto alla realizzazione dello statuto non sia presente neppure un ricercatore dell’Ente di cui si sta definendo l’autonomia.
2) nell’organismo di governo che la legge individua per l’ente (il Consiglio di Amministrazione) è prevista la partecipazione fortemente minoritaria (un solo membro su 7 nel caso del CNR!) della comunità di riferimento dell’Ente (che può essere interpretata oltretutto non necessariamente come “comunità interna”).
In generale, si chiedono come sia possibile che:
3) la legge 213 non determini sostanziali indirizzi sulla partecipazione attiva della comunità interna alla vita istituzionale dell’Ente a tutti i possibili livelli.
E’ del tutto evidente pertanto che ci troviamo di fronte ad un inganno e ad un sopruso nei confronti di comunità di scienziati che pure hanno dimostrato il proprio valore, sia con la capacità di sostenere le proprie ricerche con l’acquisizione di ingenti fondi non istituzionali sia conseguendo ottimi giudizi nei processi di valutazione interni e internazionali e nelle apposite classifiche realizzate da agenzie internazionali di valutazione.
A tale comunità non solo non si riconosce alcun merito ma si sottrae la possibilità di qualificare al meglio il proprio lavoro e di contribuire nel modo più adeguato a quegli obiettivi di progresso e avanzamento culturale, scientifico, civile ed economico che solo le frontiere della nuova conoscenza sono in grado di fornire al Paese. Non a caso, la nostra Costituzione esalta il valore di chi si dedica alla ricerca scientifica e ne caratterizza il metodo. Tradire il dettato costituzionale significa, proprio per questo, ridurre le possibilità di progresso e avanzamento del Paese.
Per sottoscrivere l’appello vai a www.osservatorio-ricerca.it