Si ricordano gli 8 mila morti. I resti delle fosse comuni saranno cremati e verrà data loro singola sepoltura
L’11 luglio 2010, «Giornata della memoria» istituita dal Parlamento europeo. L’ultima fossa comune è stata aperta a Zalazje, villaggio a pochi chilometri da Srebrenica, ad aprile: 80 metri per 20, la più grande delle oltre 80 fosse delle vittime del massacro del luglio 1995. Lo scorso marzo, il Parlamento di Belgrado ha adottato (votata da democratici e socialisti filo-occidentali, intenzionati a fare il possibile per portare la Serbia nell’alveo dell’Unione europea) una risoluzione di condanna del massacro, scusandosi per non avere fatto abbastanza per impedirlo. L’11 luglio 2010 è «Giorno della memoria per le vittime del genocidio di Srebrenica» (I serbi, invece, due giorni dopo, il 13 luglio, commemorano i propri morti con una cerimonia a Bratunac, la città più vicina a Srebrenica).
L’ORDINE DI KARADžIć – Quel giorno, l’11 luglio 1995, il generale serbo Ratko Mladić svuotò la cittadina della Bosnia orientale dai suoi 40 mila abitanti, musulmani bosniaci; trentamila tra donne e bambini furono deportati e in pochi giorni 8000 (cifra ufficiale, 12 mila secondo i parenti delle vittime) uomini e ragazzi vennero uccisi. In quel momento Srebrenica, sotto assedio dei serbo-bosniaci comandati dal generale Ratko Mladić dalla primavera del 1992 fino al luglio 1995, era zona protetta dell’Onu. Molti bosniaci erano arrivati a cercare rifugio in questo straccio di territorio ancora libero nella Bosnia orientale, portando a 40 mila gli abitanti della città che prima della guerra era abitata da 12 mila persone. L’ex presidente dei serbo-bosniaci, Radovan Karadžić, (in questi giorni si sta svolgendo il processo a suo carico innanzi al Tribunale Penale Internazionale dell’Aia) all’epoca firmò l’ordine ai suoi militari: «Creare a Srebrenica una situazione di totale insicurezza e disperazione». Il suo ordine venne eseguito. I serbo-bosniaci di Ratko Mladic e Radovan Karadzic, passarono sotto le armi uomini e ragazzi.
GENOCIDIO – L’11 luglio è un’altra giornata per non dimenticare un “olocausto” che, come quello nazista, ha avuto rigurgiti di negazionismo. Il massacro della popolazione musulmana di Srebrenica era già stato definito genocidio dal Tribunale internazionale dell’Aija per l’ex Juguslavia, il 19 aprile 2004. Ora il Parlamento Europeo ha proclamato l’11 luglio Giornata della memoria con una risoluzione in cui afferma che il genocidio di Srebrenica è stato il maggior crimine di guerra perpetrato in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. E ha invitato gli Stati membri dell’unione e dei Balcani Occidentali a dedicare l’11 luglio alla memoria di quei morti. Diverse sono state e saranno in questi giorni le commemorazioni in Italia.
DIARIO DI SOPRAVVIVENZA – E, mentre nel villaggio di Zalazje dal 2 luglio sono cominciate le esumazioni, Al Memorial Center di Potocari si prepara la commemorazione con un funerale collettivo. I corpi, raccolti dalle fosse comuni, di 775 persone i cui resti sono stati identificati nel corso di questi anni, saranno cremati e a ognuno verrà data singola sepoltura. Che cosa è successo in quei giorni? Un libro, Cartolina dalla fossa, che uscirà il 12 luglio per la casa editrice Beit di Trieste, (pag. 270, euro 20), lo racconta con foto, cronologia (la prefazione di Azra Nuhefendic, interventi di Alice Meden, Guido Franzinetti, del poeta bosniaco Abdulah Sidran). E un diario sulla vita a Srebrenica prima e durante la tragedia di Emir Suljagić, un giovane musulmano bosniaco che, contro ogni previsione è sopravissuto. È la prima volta che Srebrenica è raccontata da un superstite.
SONO VIVO – «Io sono vivo perché Mladić aveva il potere assoluto di decidere sulla vita e sulla morte», scrive Suljagić che aveva 17 anni quando iniziò la guerra. Imparò l’inglese e divenne interprete per le Nazioni Unite a Srebrenica. Questo gli salvò la vita. Oggi Emir fa il giornalista in Bosnia. La sua scrittura è pacata. Non odia, non insulta, non urla. Racconta. La difesa della città, il contrabbando, l’ipocrisia dei caschi blu. E poi la fame e la miseria che hanno trasformato individui e comunità. Un resoconto umano in cui c’è l’assedio e la sopravvivenza. «La fame aveva completamente alterato la mia personalità», scrive. «Dal ragazzo, che prima della guerra era timido e riservato, ero diventato aggressivo e senza scrupoli. Questo mi ha spaventato». Racconta scene di un quotidiano. Parla dell’attacco dei musulmani bosniaci a Kravice. La 28esima divisione dei musulmani guidata da Naser, il 7 gennaio 1993, Notte di Natale ortodossa, in cui 49 civili serbi erano stati massacrati (86 civili sono stati feriti). A Srebrenica nessuna compassione per quelle vittime. «Sia come sia, quella si rivelò una macchia sulla nostra vittoria, altrimenti pura come un cristallo», scrive Suljagić: «Anche quello era un segnale inconfutabile che stavamo diventando sempre più simili ai serbi, a ciò che loro erano, ossia a ciò che loro desideravano noi diventassimo. Forse questo avvenne prima che chiunque se lo aspettasse, ma era inevitabile che le vittime – ma questo è solo il mio pensiero – in quelle circostanze iniziassero a somigliare al carnefice».
Dalla cronologia di Cartolina dalla Fossa anticipiamo l’11 e il 12 luglio 1995:
11 LUGLIO 1995 – «Benché annunciati per le 6 del mattino, gli aerei non arrivano. Il Vrs (Vojska Republike Srpske, l’esercito della Republika Srpska) si avvicina ad appena alcune centinaia di metri dalla città; il comando del battaglione olandese contatta il comando Onu a Tuzla e chiede spiegazioni sul perché gli attacchi aerei non siano avvenuti. Dall’ufficiale di servizio ottiene la risposta che il modulo per il supporto aereo non era stato compilato correttamente. A mezzogiorno è chiaro che le forze dell’Arbih non possono più difendere la città; un’ora e mezzo più tardi due aerei F-16 bombardano le posizioni serbe. Altri due aerei tornano indietro senza portare a termine il loro compito. Verso le 16 le forze del Vrs entrano in città; la popolazione civile in preda al panico fugge verso Potočari e verso il comando del battaglione olandese. Karadžić emana l’ordine di nominare un commissario civile per Srebrenica e di istituire una stazione di polizia del ministero degli Interni della Repubblica Srpska a Srebrenica. Alle 20.30 all’hotel Fontana di Bratunac si tiene un incontro fra i rappresentanti del Vrs e quelli del battaglione olandese. I rappresentanti del Vrs sono: i generali Mladić e Milenko Živanović, comandante del Drinski korpus, i colonnelli Janković e Kosorić della Direzione dei servizi informativi dello stato maggiore del Vrs e del Drinski korpus, il colonnello Milutinović, capo del servizio informativo del Drinski korpus, e il capitano di prima classe Momir Nikolić, aiuto del comandante della brigata Bratunac del Vrs per gli affari relativi all’informazione e alla sicurezza. Il battaglio ne olandese è rappresentato dal comandante, il tenente colonnello Ton Karremans, dall’ufficiale di collegamento Boering e all’ufficiale delle informazioni del battaglione, il caporal maggiore anziano Rave. L’incontro viene interrotto e ne viene indetto un altro per le 23 della sera stessa, al quale dovrebbero partecipare anche i rappresentanti delle autorità civili di Srebrenica. Dato che queste ultime sono completamente disorganizzate, all’incontro delle 23 partecipa Nesib Mandžić, direttore della scuola superiore di Srebrenica. Le autorità civili della Repubblica Srpska sono rappresentate dal commissario civile per Srebrenica Miroslav Deronjić e dal sindaco Ljubisav Simić. A parte il generale Živanović, tutti gli altri rappresentanti del Vrs sono presenti all’incontro. Il generale Mladić comunica che si inizierà a radunare i pullman per l’evacuazione della popolazione civile, e promette una tregua fino alle 10 del giorno seguente, quando si dovrebbe tenere un altro incontro. Nel territorio dei villaggi Jaglići e Šušnjari si raccolgono, a seconda delle diverse valutazioni, fra i 10mila e i 15mila soldati e uomini disarmati che iniziano la marcia verso Tuzla. Il numero dei profughi – fra cui si trovano da 2 000 a 3 000 uomini, che nel frattempo si sono radunati a Potočari – è valutato fra le 17mila e le 20mila persone.
12 LUGLIO 1995 – Alle 10 del mattino si tiene il terzo e ultimo incontro fra i rappresentanti del Vrs, le autorità civili della Repubblica Srpska, dell’Unprofor e delle autorità civili di Srebrenica. A questo incontro, i profughi da Srebrenica sono rappresentati, oltre che da Nesib Mandžić, anche da Ibro Nuhanović e Ćamila Omanović. Oltre al generale Mladić, a questo incontro a nome del Vrs è presente anche il generale Radislav Krstić; le autorità civili della Repubblica serba sono rappresentate da Miroslav Deronjić e dal presidente dell’Sds di Bratunac, Srbislav Davidović. All’incontro, il generale Mladić comunica la decisione di compiere un controllo di tutti i maschi di età compresa fra i 16 e i 60 anni. Dopo questo incontro forze del Vrs entrano a Potočari e circondano la massa dei civili che è sistemata nei capannoni della fabbrica nelle vicinanze del comando olandese. Circa alle 12 i primi convogli con i profughi iniziano a lasciare Potočari. Nello stesso tempo militari del Vrs iniziano a separare dalle donne e i bambini gli uomini, che vengono trattenuti sotto scorta armata nell’edificio della centrale elettrica di Potočari, noto fra gli abitanti come “casa bianca”. La deportazione della popolazione civile dura in maniera continuata fino alle ore 20. Quella sera, gli uomini che erano stati separati dal resto della popolazione vengono trasportati da Potočari a Bratunac e rinchiusi nell’hangar dietro la scuola elementare “Vuk Karadžić”, nell’edificio della scuola stessa e in quello della vecchia scuola superiore. Fra la fabbrica di zinco e la Alijina kuća, militari del Vrs e/o del ministero degli Interni, con procedura sommaria, ammazzano per decapitazione circa 80-100 musulmani bosniaci. I corpi vengono poi portati via con dei camion. A partire dalle 22 circa del giorno 12 luglio, fino al 13 luglio, più di 50 uomini vengono portati fuori dall’hangar e uccisi con procedura sommaria. 13 La deportazione della popolazione civile riprende dalle 7 del mattino. In serata, i prigionieri dell’hangar sono trasferiti nel villaggio di Grbavci, vicino a Zvornik, e rinchiusi nella scuola locale. Gli uomini che erano stati separati dagli altri a Potočari in serata sono trasferiti nell’edificio della “vecchia scuola” di Bratunac. La colonna mista di soldati e civili che tentava di farsi strada fino a Tuzla cade nella prima imboscata. Nel tratto Vlasenica-Zvornik, a Konjević Polje, alcune migliaia di loro si arrendono o vengono fatti prigionieri. Circa alle 11 un piccolo distaccamento di militari del Vrs e della polizia (ministero degli Interni di Bratunac) prende prigionieri circa 16 musulmani bosniaci della colonna di uomini in ritirata dall’enclave di Srebrenica, li trasferisce da Konjević Polje in un luogo solitario sulla sponda del fiume Jadar e con procedura sommaria ne uccide 15 su 16. Nelle prime ore del pomeriggio, militari del Vrs o del ministero degli Interni trasferiscono circa 150 musulmani bosniaci maschi in un luogo adiacente a una strada bianca nelle valle di Cerska, a circa 3 chilometri da Konjević Polje, li uccidono con procedura sommaria e li seppelliscono con macchine pesanti per il movimento terra. Alle 14 circa un gruppo di 2 500-3 000 prigionieri rinchiusi nel campo sportivo di Nova Kasaba viene portato a Bratunac con dei pul lman; la mattina seguente questo gruppo sarà trasferito a Pilica. Nelle prime ore serali, militari del Vrs o del ministero degli Interni uccidono con procedura sommaria oltre 1 000 bosniaci musulmani maschi prigionieri nel grande deposito del villaggio di Kravica. Un prigioniero mentalmente ritardato viene fatto scendere da un pullman parcheggiato davanti alla scuola elementare “Vuk Karadžić” di Bratunac e ucciso con procedura sommaria. Durante il giorno nella scuola “Vuk Karadžić” avevano picchiato sulla testa con il fucile un prigioniero, poi lo avevano portato fuori e finito con procedura sommaria. Quattro giovani prigionieri vengono portati fuori dalla scuola “Vuk Karadžić” e uccisi con procedura sommaria. Militari del Vrs della brigata di Vlasenica del Drinski korpus separano dai convogli che arrivano da Potočari i maschi rimanenti, e anche alcune donne, e li rinchiudono nella scuola di Tišća; la sera membri del Vrs caricano su un camion da quella scuola 25 maschi, li portano in un pascolo solitario delle vicinanze e li fucilano con armi automatiche. Circa alle 20 il generale maggiore Radislav Krstić, fino ad allora capo di stato maggiore, diventa comandante del Drinski korpus del Vrs. Attorno alle 21.30, due uomini vengono fatti scendere a forza da un camion in pieno centro a Bratunac, condotti in un vicino garage e uccisi con procedura sommaria.
Il Corriere della Sera 11.07.10
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Un minuto di silenzio , di Adriano Sofri
Le tragedie vogliono guadagnarsi un´aura di destino, e se ne fabbricano coincidenze impensabili. Così, il quindicesimo anniversario cade nella domenica della finale di calcio mondiale. Avevano chiesto, le associazioni delle vittime, di dedicare un minuto di silenzio a Srebrenica, nella finale. A Sarajevo avevano trepidato all´idea che potesse arrivarci la Serbia. Non è successo, ma un diavolo ci ha messo la coda, perché alla finale è arrivata l´Olanda, gran paese, eccellente squadra, ma furono olandesi i militari delle Nazioni Unite che a Srebrenica 1995 brindarono con Mladic, furono traditi dai capi dell´Onu e della Nato, e tradirono un popolo inerme che si era affidato loro. La Fifa, per bocca del suo segretario, Jerome Valcke, ha affettato comprensione, ma ha spiegato che l´11 luglio è anche il cinquantenario della prigionia di Mandela, e che del minuto di silenzio non se ne può far niente. Tanto meno dell´altra proposta, la più estremista, di lasciare sugli spalti dello stadio 8.346 posti vuoti, in memoria. Immagino già che cosa stiate pensando: «è troppo». L´ho pensato anch´io, naturalmente. 8.346 posti vuoti in una finale mondiale di calcio sono troppi. L´abbiamo pensato anche leggendo la cifra dei trucidati di Srebrenica, che 8.346 erano troppi: ma con minor trasporto, no?
Le famiglie delle vittime avevano avuto ragione di preoccuparsi per la coincidenza fra la loro data, dedicata dalla stessa Unione europea alla commemorazione di Srebrenica, e la finale del campionato. La gente, e gli europei in particolare, avranno altro da fare quel giorno.
In compenso andranno in tanti alla cerimonia di Srebrenica, anche il primo ministro belga uscente Leterme, presidente di turno del consiglio dell´Unione europea, reduce a sua volta insieme alla famiglia reale dal cinquantenario dell´indipendenza del Congo, a Kinshasa. C´è la famosa barzelletta sul Belgio, dove si regola pacificamente la questione della secessione: «Allora, tutti i valloni a destra, e tutti i fiamminghi a sinistra». Restano fermi al centro alcuni signori vestiti di nero col cappello, la barba e i riccioli: «E noi belgi dove?» è esattamente quello che succede in Bosnia, dove gli accordi di Dayton divisero il paese in tre popoli costituenti, serbo, croato e bosniaco-musulmano (bosgnacco), con tre parlamenti e tre governi e tre di tutto, sicché un cittadino ebreo bosniaco, Jakob Finzi, e un cittadino rom bosniaco, Dervo Sejdic, hanno fatto ricorso alla Corte di Starsburgo chiedendo, più o meno, «E noi?» e la Corte, nel dicembre 2009, ha dato loro ragione, dichiarando invalido il voto riservato a candidature su base etnica. Le prossime elezioni saranno nell´ottobre di quest´anno, e vedremo come verranno a capo della barzelletta. Intanto, sono passati quindici anni, e si piange di più, come bisogna negli anniversari tondi, sull´undici luglio.
Srebrenica, laboratorio di genocidio di viltà e di negazionismo. Basta Srebrenica a rendere superflue montagne di volumi sul nazismo e la Shoah. I volonterosi carnefici, la gente comune? Eccoli, i tifosi belgradesi della Stella Rossa, i vicini di casa serbi: girano a centinaia per le strade di Srebrenica, “restituita” all´autorità serbo-bosniaca. La programmazione del genocidio? Proclamata, nei discorsi dei nazionalcomunisti di Milosevic e dei loro servi-padroni ubriachi, Karadzic e Mladic e compagnia. La comunità internazionale, che su Auschwitz pretendeva di “non sapere”? Ma a Srebrenica vedeva tutto, e lo trasmetteva al mondo intero, ed era solennemente sul posto, e non solo non si oppose allo sterminio, ma brindò coi macellai e aiutò coi suoi caschi blu a separare gli uomini dalle donne e i bambini, prima del mattatoio. Quanto al negazionismo, sostengono i nazionalisti di Belgrado e di Banja Luka che gli sterminati furono molto meno degli 8.346 ufficialmente designati, che gli esami del dna vengono falsati per far passare come bosniaco-musulmane le vittime serbe… Il Tribunale internazionale per la ex-Jugoslavia ha bensì pronunciato, il mese scorso, le prime condanne per il reato di genocidio, ma la notizia è passata pressoché inosservata. A Srebrenica furono massacrati i maschi, dagli adolescenti agli anziani – ma anche molti bambini e vecchi: le donne e i bambini furono cacciati via e braccati attraverso i boschi in una fuga d´incubo. Una ragazza si impiccò a un albero, e i suoi piedi scalzi dondolanti suggellarono l´iconografia del Novecento. D´altra parte la brutalità ex-jugoslava, e serbista specialmente, che a Srebrenica ricalcò l´antico rito del massacro degli uomini, aveva perfezionato anche la violenza sulle donne fino a programmare lo stupro etnico. Oggi Srebrenica è, ad onta delle sue autorità e delle sue milizie serbiste, soprattutto un posto di donne del lutto e della memoria, come ogni Troade inseminata.
La Repubblica 11.07.10