La Lega in due anni di governo ha sostenuto, spesso con il petto in fuori, provvedimenti lontani anni luce dalle attese del suo elettorato. Lodo Alfano, legittimo impedimento, condoni utilizzati “con animo grato” anche da molti criminali. Si trattava di accettare la pena del purgatorio, perché si sarebbero finalmente spalancate le porte del paradiso terrestre: il federalismo. Per far digerire meglio l’amaro calice al proprio elettorato, la Lega è ricorsa a fantasiose armi di distrazione di massa. Classi ponte, ronde, inni e brani musicali. Per nascondere le plateali responsabilità di governo, si è adottata anche l’arma del partito di lotta e di governo. Molti sindaci leghisti protestano contro le scelte di Tremonti. Ieri, Cota e Zaia. Ho l’impressione che anche gli espedienti più intelligenti si stiano logorando. La gente del Nord è pragmatica. Si aspetta concretezze e risultati. Penso che molti nodi stiano venendo al pettine.
Nel Nord si capisce benissimo che provvedimenti spacciati per federalismo, come quello demaniale, sono acqua tiepida. Si capisce che il federalismo è destinato ad annaspare e poi a fallire sotto le resistenze di una maggioranza di centrodestra che non vuole cambiare e modernizzare il paese. Nel Nord mi auguro si comprenda che i recenti aumenti dei pedaggi autostradali derivano dalla cambiale pagata dal governo due anni fa ai grandi concessionari, in cambio del loro impegno nella cordata salva-Alitalia. Questi ultimi aumenti tariffari, che stanno sollevando le giuste reazioni di pendolari, cittadini, imprese, sono solo l’ultimo anello di una catena che si è stretta intorno ad una comunità operosa come quella lombarda. Il fallimento del progetto Malpensa e la triste vicenda di Expo 2015 interrogano le responsabilità della Lega. Aggiungo che le indiscutibili capacità politiche e mediatiche non possono assolvere nemmeno il presidente della Regione Lombardia, da quindici anni indiscusso leader al Pirellone.
Risulta chiaro che Brancher si è dimesso da ministro, anche perché l’iniziativa del nostro partito è stata favorita dallo sconcerto cresciuto nel Pdl e nella Lega dopo la sua promozione.
Era facile prevedere che la crisi, i suoi caratteri, avrebbero scosso le fondamenta di partiti, associazioni. E la Lega non poteva e non può sfuggire a questa onda d’urto. Sono persuaso che il Bossi di un tempo si sarebbe inventato in questi giorni una “strambata”. Abbiamo sentito invece che alla fine del consiglio federale di sabato scorso, Marco Reguzzoni, in perfetto stile doroteo, ha escluso qualsiasi disagio nel suo partito e promesso fedeltà a Berlusconi. Maroni dice che la Lega è un partito leninista. Anche se ne capisco il senso, mi sembra un giudizio che valeva per il passato. Lo sarà sempre meno per il futuro. Faccio in ogni caso notare che nell’esperienza di Lenin convissero diverse forme di partito. Quella a larga partecipazione e quella, immediatamente prima della rivoluzione d’Ottobre, a rigidissima centralizzazione. Nessuno è perfetto. Nemmeno il ministro degli Interni.
Anche lo scorso lunedì, come sempre, per me è stata una giornata densa di incontri varesini. L’ultimo, in serata, con l’Acai, l’associazione cristiana degli artigiani. Nella terra di Bossi e Maroni, sento crescere disagio e critiche nei confronti del governo. Fatico a credere che anche loro non ne siano al corrente. Fatico a pensare che vogliano assecondare “il tirare a campare” nonostante il governo sia l’esecutivo a maggior “trazione lombarda” della storia repubblicana (Berlusconi, Bossi, Maroni, Tremonti, Calderoli, Gelmini, Brambilla e La Russa compreso). Le aziende che producono componenti ad altissima tecnologia affidando elaborazioni grafiche computerizzate a gruppi di ingegneri cinesi situati a Shangai, non si sono certo fatte condizionare dal pericolo giallo evocato in questi anni dal Carroccio. Il successo della Lega si è costruito sul bisogno di ordine, legalità e sicurezza, di fronte al timore di espropriare localismi, valori antichi, tradizioni; su pochi e chiari messaggi ripetuti che toccavano corde sensibili dell’elettorato.
I più avveduti dirigenti leghisti sanno di trovarsi di fronte ad un cambio di fase. Sanno che sono bastati 5 anni per passare dal loro massimo storico delle politiche 1996 allo striminzito 3,99% delle politiche 2001.
Sanno che gli occhi smarriti dei loro militanti, presenti alla celebrazione del ventennale raduno di Pontida, non erano dovuti alla giornata fredda e piovosa.
Avranno l’autonomia politica necessaria per interpretare, oggi e nelle prossime settimane, questo cambio di fase? Vedremo.
So cosa dobbiamo fare noi. Battaglia politica quotidiana. Il Partito democratico fa bene a condurre un’opposizione che si rivolge ad ampie fasce popolari illuse e poi colpite al cuore in questi due anni dalle misure del governo Berlusconi.
La situazione che si presenta davanti agli occhi di un cittadino del Nord è piò o meno questa: comuni virtuosi in ginocchio e comuni spendaccioni (Catania in testa) premiati, la promessa diminuzione delle tasse, a partire dall’eliminazione dell’Irap, contraddetta dalla più alta pressione fiscale degli ultimi 15 anni. La manovra di Tremonti che colpisce lavoratori dipendenti, pensionati e lascia tranquille ricchezze sfacciate e rendite. Con un certo ritardo gli industriali si sono accorti che i provvedimenti fiscali contenuti nella manovra fanno impallidire per durezza quelli di Visco. Ora sostengono che il governo ha accettato le loro richieste. Tra un anno ne riparleremo. Così come vedremo se gli associati di “Reteimpresa” si riconosceranno nelle posizioni filogovernative del loro presidente Sangalli.
Ora dinanzi a noi del Partito democratico si possono spalancare spazi nuovi. Anche in quel Nord che è stata ed è terra difficilissima. Forse non abbiamo saputo e non sappiamo cogliere del tutto le contraddizioni di questa parte del paese. Ma la possibilità di parlare agli scontenti, per tutte le ragioni dette sin qui, ci sono. Costruzione di un partito popolare federale e pluralista che sconfigga il correntismo. Elaborazione di un nuovo pensiero dei progressisti capace di indicare una nuova idea di unità nazionale e il ruolo dell’Italia in un mondo che scuote equilibri consolidati. Combattere ogni populismo. Recentemente Bersani ha detto: «Come si combatte il populismo se non incontriamo il popolo?». Perfetto. Facciamolo, stando vicini a cittadini, famiglie e imprese costrette a convivere con una crisi economica tutt’altro che superata.
Ho l’impressione che questa sia la strada giusta per provare a diventare “maggioranza culturale” nelle aree più dinamiche del paese. La sfida è ancora tutta da giocare.
da www.europaquotidiano.it