«Uno sciopero costituzionale», di Federico Orlando
La restaurazione degli anni Trenta si spegne oggi, nella giornata del silenzio, come l’armata di Cambise nel deserto. Quello che fu il più potente esercito del parlamento, con 100 seggi di maggioranza alla camera e 50 al senato, è arrivato in frantumi sugli scogli della Finanziaria e delle intercettazioni. Costretta dal Quirinale a stare nelle regole e votare la manovra entro i termini prescritti (a giudicarla, penseranno gli elettori), la destra eversiva, che ora rinvierebbe il bavaglio sine die, appare in tutta la sua estraneità strutturale alla democrazia. E ne amplia la crisi di struttura: la convocazione dei giornalisti da parte dei sindacati dei militari è figlia non di un’ideologia sudamericana, ma di una esasperazione. L’America latina non c’entra, salvo che per il presidente del consiglio, in cui Bersani riconosce crescenti caratteri alla Chavez. Davanti allo scoglio del federalismo fiscale, spetterà per primo a Bossi spiegare ai suoi talebani e mullah chi abbia sbagliato a misurare la lunghezza del salto: se lui stesso, o il premier o il ministro dell’economia che ha scritto la Finanziaria. …