La pessima figura del ministro per la gioventù, la rissa alla camera con i sodali del sindaco di Roma come protagonisti.
In questi primi due anni di legislatura di Giorgia Meloni, giovane ministro per la gioventù, non si era parlato molto. Ma ieri si è rifatta, anche se in negativo: il suo provvedimento che stanziava un mare di milioni per “i giovani” è stato rimandato indietro, dall’Aula torna in commissione. Una giornata no, una brutta figura.
Eppure la Meloni si era caratterizzata, da vicepresidente della camera nella precedente legislatura, per grinta e astuzia politica, nessun timore reverenziale dallo scranno più alto di Montecitorio nel bacchettare con pesante accento romanesco deputati ben più noti e importanti di lei. Tanto che se ne parlò come di una nuova stella della destra: una destra popolare, legata alla società, frutto di un’antica attitudine militante “di base” eppure in sintonia con i tempi. Troppo in sintonia, forse. Al punto – par capirci – di inserirsi (magari senza tanto entusiasmo) nel corteo dei nuovi fedeli del Cavaliere, a costo di rescindere il cordone con quel Gianfranco Fini che era stato pur sempre il suo faro politico. Ma tant’è, alla realpolitik non si comanda: e il premier, che è uno che sa toccare le corde giuste, la premiò elevandola al rango di ministro.
Qui venne però il difficile. Il ministero per la gioventù è una di quelle cose che sembrano semplici ma deve essere un posto nel quale una volta entrato non sai bene che fare. Pochi soldi, pochi strumenti, poco tutto. Il provvedimento in questi giorni all’esame della camera doveva essere la chiave di volta della sua azione. Finanziamenti un po’ qua un po’ là, senza – dicono i critici – che fosse trasparente il senso dell’operazione. Lamenta chi era al suo posto, Giovanna Melandri: «La Meloni ha destrutturato il buono che avevamo costruito, per esempio l’accordo con l’Abi sul credito agevolato per i giovani». E la deputata Daniela Sbrollini ha criticato «il provvedimento pasticciato, confuso, che invece di offrire uno spazio di tutela maggiore ai giovani puntava a costruire un serbatoio clientelare per alcuni ambienti politici». Parola più parola meno, è precisamente il giudizio che ieri a Montecitorio stava dando il deputato dell’Idv Barbato (un tipino, peraltro, non esattamente flemmatico): «Abbiamo l’impressione – sosteneva Barbato – che si voglia fare entrare il maneggio della politica e dei partiti, le persone riconducibili a partiti o a correnti, signor ministro, perché ho l’impressione che lei voglia finanziare la sua corrente, la corrente di Alemanno, del suo assessore regionale Lollobrigida che gestirà questi fondi, il suo parente (commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)… Allora questa vecchia politica che fa rabbrividire, Pomicino e Mastella, perciò lei è vecchio, signor ministro, lei rappresenta la vecchia politica…». Forte.
Tanto forte che al nome di Alemanno i suoi amici Rampelli e Barbara Saltamartini hanno dato vita alla classica colluttazione parlamentare. Urla, botte (15 giorni di prognosi per Barbato, per «trauma contusivo della regione zigomatica e all’occhio destro» e «cefalea post-traumatica»). Una brutta scena.
Ma il vero punto politico è un altro. E cioè che le critiche a Giorgia erano risuonate all’interno della maggioranza: quel galantuomo di Antonio Martino era stato pesantuccio parlando di «un provvedimento che negli Usa si chiama pork barrel legislation, legge volta a mettere le mani nel barile del porco salato». Risultato, uno smacco per il giovane ministro. Lei, tosta come sempre, ha fatto buon viso a cattivo gioco. Ma fra i suoi ex amici dell’ex An ieri qualcuno si è limitato a pronunciare tre parole: «Ben gli sta».
da www.europaquotidiano.it
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