Chissà perché in Italia ogni mosca in volo diventa un’astronave. L’ultimo Ufo è atterrato davanti al Quirinale, con un doppio avvistamento: da destra (il Giornale) e da sinistra (il Fatto quotidiano).
Lassù sul Colle hanno smentito seccamente la notizia, ma gli avvistatori recano prove inoppugnabili. In attesa di discuterne al prossimo congresso di cosmologia, proviamo a misurarle in questa sede.
Dunque, il Senato sta votando con legge costituzionale il lodo Alfano, che forgia uno scudo processuale per il governo e per il Capo dello Stato. Un senatore del Pd – Stefano Ceccanti, che di mestiere fa il costituzionalista – avanza un emendamento che dichiara il Presidente improcessabile, e perciò sottratto all’autorizzazione parlamentare da cui dipende viceversa l’immunità per i ministri. Da qui la prova, una e trina come il Padreterno: se Ceccanti ha firmato quell’emendamento, significa che aveva la benedizione del partito; se il Pd si è fatto avanti, significa che è stato imbeccato dal diretto interessato, ossia dal Presidente; se Napolitano vuole sottrarsi ai rigori della legge, significa che ha commesso qualche marachella. Lui nega? E allora perché il suo consigliere – aggiunge il Fatto quotidiano – giudica un errore l’autorizzazione a procedere verso il Presidente?
Giacché mi trovo a essere citato per nome e cognome nei panni di chi dà consigli al Capo dello Stato, vorrei rivolgere un appello agli amici del «Fatto»: o cambiate il nome del giornale o cambiate le notizie. Il Quirinale ha uno staff di prim’ordine, nel quale non sono mai stato reclutato. Ma dopotutto non è questo ciò che conta. Pesano piuttosto riforme di sistema che scassano il sistema, perché non si curano affatto delle geometrie costituzionali. Ceccanti sarà forse stato ingenuo sul piano politico (tant’è che ha dovuto ritirare il proprio emendamento), ma da costituzionalista aveva tutte le ragioni. Quando i nostri padri fondatori scrissero l’art. 90 – che esige la maggioranza assoluta per porre in stato d’accusa il Presidente, nei casi di alto tradimento e d’attentato alla Costituzione – avevano negli occhi il proporzionale con cui fu eletta l’Assemblea Costituente. Con il maggioritario avrebbero scritto come minimo due terzi, per garantire il consenso dell’opposizione. E allora come si fa a contentarsi della maggioranza semplice per i delitti extrafunzionali, oltretutto in un sistema come questo, dove i parlamentari sono altrettanti soldatini?
C’è però un’osservazione che rende superfluo l’emendamento di Stefano Ceccanti, e forse pure il lodo Alfano. Il Presidente già da oggi è improcessabile per i reati comuni: se i costituenti non hanno messo nero su bianco questa immunità, è solo perché sarebbe suonata «irriguardosa» verso il Capo dello Stato. Chi l’ha detto? Costantino Mortati, e dopo di lui molti altri maestri di diritto. Gioca qui infatti l’eredità dello Statuto Albertino, che proclamava «sacra e inviolabile» la persona del Re. Gioca un motivo sistematico, perché non si può negare alla suprema istituzione la tutela che la Carta offre persino ai deputati. E gioca infine un argomento logico: come mai farebbe il Presidente a promulgare leggi o ricevere ambasciatori dentro una cella di Regina Coeli?
Insomma il fiore delle immunità perde un petalo alla volta. Il lodo Schifani s’estendeva ai presidenti delle Camere, oltre che a chi dirige la Consulta. Il primo lodo Alfano si sbarazzò di quest’ultima figura; il secondo ha eliminato i presidenti delle Camere. Se non c’è ragione d’aprire l’ombrello sul Capo dello Stato, non resta che il governo. Magari è proprio per evitare tale solitudine che i nostri ri-costituenti hanno tirato in ballo il Quirinale. Un frutto avvelenato, come dimostra quest’ultima vicenda. E insieme una lezione per Ceccanti e per la categoria cui entrambi apparteniamo: in Italia i cavilli vengono scambiati per cavalli.
da www.lastampa.it
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Si scopre il gioco contro Napolitano
Improvvida e in parte incomprensibile, l’iniziativa del senatore del Pd che mirava a garantire una guarentigia aggiuntiva al capo dello stato ha riportato allo scoperto un dato imprenscindibile dello scenario politico: Napolitano non ha mai smesso di essere un enorme problema per Berlusconi, e al di là di tante chiacchiere di convenienza è considerato dai sodali del premier come un avversario da battere o almeno da indebolire, comunque da intimidire appena possibile.
Nulla di nuovo, si dirà. Sul Giornale, che ieri sfruttava il progetto di legge di Ceccanti per mettere in cattiva luce il Quirinale, si sono lette nel tempo cose ben più terribili contro il presidente comunista e via feltriggiando.
In realtà, l’attacco di ieri spezza la finzione delle buone intenzioni di Berlusconi verso il capo dello stato, ricordando a tutti che quest’ultimo – come istituzione ma anche come persona – rimane per il Cavaliere l’ostacolo numero uno, quello veramente insormontabile (anche se i colleghi del Fatto non sembrano capirlo), alla realizzazione dell’unico autentico punto del programma di governo: la cancellazione dell’autonomia della magistratura e in generale la sovversione dell’equilibrio dei poteri.
Napolitano queste cose le sa benissimo, ma ruolo, carattere, cultura istituzionale e soprattutto abilità politica lo tengono lontanissimo dallo scontro aperto. Non è un caso se coloro che vorrebbero trascinarvelo – da destra e nel centrosinistra, dipietristi e grillini – sono gli stessi che esprimono in questo momento sulla scena la cultura politica più rudimentale.
Napolitano fin qui ha un po’ approfittato della fragilità politica di maggioranza e governo. Per una lunga fase esercitando supplenza, nell’orientamento politico e anche nella fattura delle leggi. Ora questa fase è chiusa: troppo impropria, compromettente, pericolosa.
Lasciati soli, i berlusconiani reagiscono contro il Quirinale con la stizza e l’ostilità ben espressa dal Giornale.
Pur esprimendo tutta la solidarietà possibile, il Pd farà a Napolitano il miglior regalo evitando di coinvolgerlo a sua volta, o di proporgli in futuro scudi ad personam di cui non ha alcun bisogno.
Editoriale della Direzione di Europa