C’era anche l’architetto Angelo Zampolini, il 3 giugno 2004, nelle sale del sontuoso palazzo di piazza di Spagna che ospita il dicastero vaticano di «Propaganda Fide». Era il giorno in cui il cardinale Angelo Sepe firmò l’atto di vendita per il palazzetto di via dei Prefetti che il figlio dell’allora ministro Lunardi, Giuseppe, incamerò a nome di una società di famiglia. Zampolini, che una volta di più si rivela cruciale per quest’inchiesta, era nella stanza vicina «nel caso fossero sorte difficoltà tecniche». Fu un ottimo affare per Lunardi: cinque piani nel cuore del centro storico della Capitale acquistato al prezzo di tre milioni di euro. «Il valore dell’immobile – spiega ancora Zampolini, interrogato dai magistrati il 18 maggio, verbale ora agli atti del procedimento contro l’ex ministro Lunardi – era sicuramente superiore ai tre milioni indicati. All’incirca almeno 7 milioni, anche 8». Per quella compravendita sia Lunardi, sia il cardinale di Napoli sono indagati per corruzione. Scrivono infatti i pubblici ministero Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi nel loro atto d’accusa: «A fronte di tale acquisto, Pietro Lunardi, all’epoca ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, consentiva, grazie a tale sua qualifica, che la congregazione Propaganda Fide accedesse al finanziamento Arcus, in difetto dei presupposti, per l’importo di 2 milioni e mezzo di euro».
Zampolini in quell’occasione non ebbe grande ruolo. «Ciò che posso aver fatto è di recapitare i documenti di Propaganda Fide allo studio del notaio; se sono intervenuto è stato perché me lo può aver chiesto Balducci che era consultore di Propaganda Fide e si occupava degli immobili». Fu importante piuttosto il giudice Sancetta, oggi indagato anche lui, che era capo di gabinetto di Lunardi, il quale «d’ordine del signor ministro», fece in modo che la pratica per il finanziamento a Propaganda Fide avesse priorità assoluta. «Procedura non frequente», segnalava la Corte dei Conti nei giorni scorsi.
Lunardi, Balducci, Anemone: un triangolo che torna spesso dagli atti di quest’indagine. Ne ha parlato il tunisino Hidri Fathi, il quale, interrogato per l’ennesima volta, ha precisato: «Ho incontrato più di una volta la figlia di Lunardi, una volta perché l’ho accompagnata presso l’ufficio di Anemone; un’altra volta le ho consegnato una busta, non so bene che cosa contenesse, dalla raccomandazione ricevuta da Anemone nella circostanza ho pensato che ci fosse un assegno». Ma nei racconti di Zampolini torna anche Guido Bertolaso e la storia dell’appartamento di via Giulia. Il sottosegretario nega di averlo mai avuto in uso; ma l’architetto conferma. «Di Bertolaso – dice ai magistrati – ho sentito parlare la prima volta quando Anemone mi disse che cercava un appartamento: io l’ho aiutato a trovarlo, era quello di via Giulia; ho saputo dopo che la casa era per lui, me lo disse lo stesso Curi, il proprietario. Se non sbaglio fu consegnato un acconto inziale di alcuni mesi. Diego mi diede i soldi in contanti. Successivamente Raffaele Curi, di professione regista, si rivolgeva a me per avere il pagamento dei canoni maturati, tanto che, alla fine, a causa dei lunghi ritardi, si è determinato a risolvere il contratto».
Era il 2005 o il 2006, ricorda Zampolini. La pigione di 1500 euro al mese. «Fu Anemone a consegnarmi i soldi per pagare l’affitto e io li trasferivo al regista». Quanto ai rapporti tra i due, «so che c’era confidenza, ma non so fino a che punto». Anche con Scajola il costruttore era molto amico. «Notai che si davano del tu… So che si sono conosciuti in occasione dei lavori all’interno dell’appartamento di servizio presso il ministero dell’Interno». Fecero almeno due sopralluoghi tutti assieme finché il ministro non trovò l’appartamento di suo gradimento. Lo stesso accadde con Ercole Incalza, il super-consigliere di Lunardi, coinvolto nell’acquisto farlocco dell’appartamento di via Gianturco. «Ho fatto un sopralluogo con lui e sua moglie».
A scorrere gli atti, comunque, continua a sbalordire la capacità della Cricca di avere amicizie dappertutto. Il nipote di monsignor Camaldo lavora da Anemone. La figlia di Publio Fiori beneficia di lavori. Lo stesso si può dire per i coniugi Bologna-Figliolia, lui consulente al ministero, lei ex gip del tribunale di Roma e soprattutto sorella di quell’Ettore Figliolia che è capoufficio legislativo della Protezione civile e prima «tramite tra Balducci e Rutelli per i lavori del 150°». Una ragnatela. Come dice il tunisino Fathi: «Anemone conosceva tutti… Portavo regali di Natale, argenti, vestiti. Quando ritiravo a volte pagavo, erano cifre nell’ordine di 8-10 mila euro. Recapitavo regali per tutti: attori, registi, politici, preti». Al centro il giovane costruttore ma soprattutto il suo amico, Balducci. Solo con Di Pietro Balducci non aveva feeling. «Raccontava che era un tipo irruento. Chiedeva di avere un’entratura in Vaticano, ma Balducci diceva di non trovarsi bene con lui perché affermava di non condividere il suo stile».
la Stampa del 6 luglio 2010