Diritti, lavoro, uguaglianza, equità cosa sono oggi? Parole guida che negli anni della globalizzazione sono sempre più interconnessi.
E oggi il tema che i partiti progressisti devono affrontare non è se sia morta la socialdemocrazia, ma trovare nuove ricette per affrontare i temi aperti dalla globalizzazione. “C’è una fase storica che ha visto colpite le ricette della globalizzazione”, ha sottolineato il segretario del PD, Pier Luigi Bersani , intervenendo al seminario L’italia in Europa e nel mondo. Dove eravamo, dove saremo promosso dal Centro Studi del PD insieme al Forum Esteri.
“Della crisi la destra ha fruito, ma non ha aperto altre strade – ha detto -ora si aprono delle possibilità ed i partiti progressisti, comunque si chiamino, sono di fronte a questo problema. Questa è la sfida: se sapranno sbrogliarlo bene, se no amen”. Per Bersani l’unica via e’ quella di un fronte unito dei partiti progressisti europei. “La dimensione dei progressisti e’ quella continentale, dobbiamo riprendere l’orgoglio di una visione europeista, vorrei che i progressisti fossero combattivi nelle proposte nelle piattaforme, serve il coraggio delle riforme: bisogna dire che non si cresce senza cambiamenti “. Per esempio, in questo momento di crisi, servirebbero una o due misure europee sulla crisi, sul lavoro e sull’ambiente. Allora l’Europa riprenderà subito contatto con la gente. Basterebbe una politica comune del lavoro, va fatto comprendere ai partiti di altri paesi perché se stai nel ripiegamento vince la destra non c’è verso” , ha insistito. Eppure, se e’ vero “che la destra ha preso i voti coltivando le paure, e anche vero “che non ha un orizzonte, non sa dove portarla la gente e questo distacco coinvolge tutti”. Bersani ha quindi sottolineato la situazione degli italiani nelle nuove gerarchie internazionali , sempre più debole dato che non usciremo dalla crisi nella posizione con cui ci siamo entrati: “Stiamo perdendo posizioni, da 10 anni cresciamo meno e abbiamo più inflazione . Non è che stiamo sottovalutando il fatto che ormai siamo percepiti come un paese che scivola? Non è per questo che scattano dei meccanismi difensivi? L’Italia è bloccata, fai export e non riescono ad attrarre investimenti, nel peacekeeping porti soldati e non determini nulla… tanto vale rifugiarsi in Val Brembana e accontentarsi della diplomazia che fa qualche affare, con il fascino e la simpatia di uno che gli affari li sa far bene”.
Il passo successivo in Italia è stato quello della discussione su delle “idee balorde. “Dovevamo rallentare la globalizzazione? Come con l’ampolla di Bossi nell’oceano? Poi sono tornati alla triade Dio, Patria, famiglia che Tremonti mixa con un revival europeista. Ma attenzione che è anche l’Europa che va verso Tremonti con il ripiegamento degli ultimi anni, cioè la riduzione dell’idea comunitaria, la riduzione dell’idea di un processo da portare avanti”.
Certo ci sono stati tentativi di reazione in diverse parti d’Europa ma “i partiti di sinistra si sono arroccati su posizioni conservative di vecchie idee, o hanno tentato una terza via che ha rischiato la subalternità ad altri modelli. L’altra globalizzazione di fine ‘800 porto a un ripiegamento e poi alla guerra. E le forze socialiste finirono ai margini o si legarono a un patriottismo non nazionalista ma non tanto dolce da non prendere i fucili in mano”. E anche oggi c’è in gioco un’idea di società “non come mi chiamo io o come si chiama un altro – ha sottolineato il leader democratico – il PD deve fare una battaglia politica dell’Europa. Riprendiamoci anche l’orgoglio di una visone europeista. Facciamolo con i gruppi parlamentari, son contento che D’Alema sia alla FES nei luoghi dove si costruisce un’elaborazione perché senza pensiero non si va da nessuna parte. So che non può bastare il welfare di una volta, l’universalismo di contratti con meno diritti. Come rispondiamo? Vogliamo lavorare su come ripensare la fiscalità, il mercato? Non voglio lasciare alla deriva di una destra che non ha orizzonti la gente. Vincono ma i governi non sono popolari, il distacco è pesante. Se vince il populismo vincono le relazioni speciali tra leader, se vince il riformismo vince un altro film: relazioni internazionali segnate da logica e stabilità. E non è un caso se riesci ad aver e un profilo riformista i risultati ci sono, non possiamo proporre in Italia alcune cose senza rilanciarle a livello europeo, altrimenti gli altri parleranno con noi di commercio e con gli USA di strategia come i cinesi”.
Serve il coraggio di riforme: dobbiamo dire che non si cresce senza cambiamento, non c’è futuro. Con il rigore ci sia crescita ed equità. “Faccio una proposta, agire con battaglie civili riconoscibili: come l’immigrazione, i nuovi italiani, i minori figli di immigrati sono un tema bellissimo, ormai son 50.000 ogni anno. Io propongo una campagna per dire che quel bambino che non è un immigrato o un italiano adesso gli diciamo chi è, sennò è una vergogna. Così l’ambiente deve essere fattore di una crescita logica, umana, decente, mentre la destra si attarda sull’idea che l’ambiente è contrario allo sviluppo. Possiamo dimostrare che è utile come ridurre le disuguaglianze nei redditi, tutto aiuta la crescita. tutto per essere all’altezza di un’Italia nel mondo che possa guardarsi allo specchio anche qua”.
Gli altri interventi della giornata.
“Non bisogna avere paura di muoversi verso orizzonti nuovi”. E’ l’esortazione arrivata da Piero Fassino nel corso del suo intervento. “L’unificazione del riformismo non è un tema solo italiano, costruire un campo riformista è un tema europeo e mondiale. In questo contesto il socialismo è una esperienza europea, ma se si vuole guardare al mondo si deve fare i conti con una pluralità di esperienze, con un campo vasto e largo che in Europa ha una caratterizzazione specifica per ragioni storiche, non ideologiche, e che tra l’altro non esclude altre forme di riformismo”.
Del resto, se in Europa si dialoga con i socialisti “è per ragioni storiche, non politiche” visto che nel vecchio continente il progressismo si è in gran parte identificato con la tradizione socialista. Ma non sono socialisti altri interlocutori del Pd nel mondo, e non è un caso, peraltro, che “tra i suoi viaggi Bersani abbia dato un posto di rilievo alla Cina, agli Stati Uniti e al Brasile”. D’Alema, poi, presiederà una fondazione di ‘progressisti’, non di socialisti. “E’ la testimonianza che in Europa ci si pone il problema di costruire un campo più largo”, spiega.
Secondo Fassino, in questo senso assume un valore ancor più importante la nomina di Massimo D’Alema a presidente della Feps: “Il fatto che alla presidenza di una Fondazione progressista sia stato chiamato un esponente del Pd e non un esponente socialista vuol dire che ci si pone il problema di costruire un fronte più largo”. Fassino ha anche enfatizzato il lavoro del segretario del Pd Bersani: “Le sue missioni più importanti sono quelle a Pechino, Washington e in Brasile”.
Per il dirigente Pd, insomma, “bisogna lavorare a uno schieramento più largo, in Europa sarebbe velleitario non tenere conto del radicamento dei socialisti, lavorando però ad una proiezione più larga”.
“Per il Partito democratico si apre una fase entusiasmante per costruire il fronte dei progressisti europei – ha detto David Sassoli, capodelegazione del Pd al Parlamento europeo – sono in crisi tutte le famiglie politiche europee e nel Pse il dibattito sul futuro della socialdemocrazia è ormai aperto. Il Pd ha una grande
chance: scommettere sulla sua vocazione per far convergere culture e sensibilità diverse e dare forza a un nuovo fronte di centrosinistra”.
Pierluigi Castagnetti ha dato un giudizio severo dell’analisi condotta dai socialisti europei sulla ragione del proprio declino. “Non sanno dare una risposta al paradosso di questi mesi. E cioè: come mai, in piena crisi, la destra perde ma noi perdiamo ancora di più?”. Ricorda che alle prossime politiche voteranno i figli dell’Ulivo, quei ragazzi che vagivano quando Prodi si presentò per la prima volta alle urne. “E’ doloroso ma dobbiamo guardare in faccia alla realtà. Il socialismo non trasmette più credibilità spiega- noi italiani dobbiamo accentuare la nostra solitudine per un tempo che temo sarà ancora lungo. Altrimenti rischiamo di ipotecare il futuro dei nostri elettori giovani. Loro non sono interessati alla copia sfuocata dell’esperienza giovanile dei loro padri”.
“La preoccupazione di Castagnetti mi pare che rientri tra la categoria del ‘non c’è problemá. Preoccuparsi, infatti, dell’influenza politica della socialdemocrazia europea sul progetto politico del Pd è del tutto inutile. Per una semplice ragione: il Pd non era, non è e non sarà mai un partito socialdemocratico che si riconosce nell’Internazionale socialista o nel socialismo europeo. Se così fosse, con altrettanta semplicità, non ci sarebbe più il Pd e ognuno andrebbe per la sua strada” gli ha risposto Giorgio Merlo, vice presidente della commissione di Vigilanza Rai.
La ragione della crisi per Sandro Gozi è in scelte di almeno 10 anni fa “Quando la maggioranza dei governi in Europa e negli USA erano progressisti, non è stato veramente elaborato un pensiero politico alternativo al neo-capitalismo liberista di Reagan e Thatcher. Ed è forse quella la ragione per cui oggi, di fronte al crollo di quel modello, le forze socialiste non appaiono come un’alternativa credibile”.
“Il progressismo europeo deve liberarsi da schemi e riflessi che risalgono a prima del crollo del muro di Berlino. Il rischio che corriamo, infatti, è di inseguire il passato, dimenticando che la vera sfida è nel rapporto con la profonda trasformazione che attraversa la società. E’ necessario riconoscere gli errori della cosiddetta terza via -prosegue Gozi- le istanze di lavoratori, artigiani, piccole imprese, ad esempio, non sono diverse o incompatibili tra loro. Anzi”.
“Dobbiamo allora rivolgerci all’intera societá, impegnarci contro le derive finanziarie dell’economia e le crescenti disparitá di reddito, riaffermare in modo radicale la promozione dei diritti civili. Non si tratta di salvare il capitalismo, si salverá da solo.Si tratta di collocare al centro il lavoro e la produzione reale. Per seguire questo progetto la via non può essere quella di rifondare la socialdemocrazia. Occorre invece superare le tradizionali divisioni politiche novecentesche tra le forze di centrosinistra. Socialisti, liberali, social-democratici, democratici, verdi, devono lavorare ad una nuova proposta progressista europea, attorno a due pilastri, libertá di scelta e responsabilità”.
Ma tra tanti interventi gran parte dell’attenzione era per il debutto di Massimo D’Alema in veste di presidente della FEPS. E il suo intervento è partito da un punto: “La politica estera del governo ridimensiona il ruolo dell’Italia nel mondo”. Massimo D’Alema, aprendo i lavori della giornata dedicata dal Pd a ‘L’Italia in Europa e nel mondò, non ha lesinato critiche al presidente del Consiglio e all’esecutivo. Se è vero, infatti, che la politica estera è per sua natura “un mix tra affari e ideali”, con il governo attuale è più difficile coniugare queste spinte contrastanti. “Per quei leader che devono rispondere all’opinione pubblica del loro paese- dice D’Alema con un motto di spirito- è problematico avere relazioni speciali con il capo del nostro governo. Sono più facili, invece, per quelli che non hanno questo problema”. Battute a parte, D’Alema fa una disanima impietosa del modo in cui i governi di centrodestra si sono mossi nello scacchiere internazionale. “In questi anni difficili- spiega- il ruolo dell’Italia si è ridimensionato, ma non c’è stato un lineare declino. Ci sono stati anche momenti alti della presenza internazionale dell’Italia, e ciò è stato legato alla capacità di affrontare sia i nodi della politica interna (come l’ingresso nell’euro e il risanamento dei conti pubblici) sia le responsabilità internazionali (come la missione nei Balcani)”.
Non a caso, osserva l’ex premier, “quell’Italia ha ottenuto il presidente della commissione europea e contemporaneamente il commissario alla concorrenza, cosa mai accaduta prima di allora”.
Oggi, secondo D’Alema, “non c’è un posto per noi alla tavola” dello scacchiere internazionale. L’Italia ‘potenza’ è alle spalle. “Nell’equilibrio del 2009- sottolinea l’ex ministro degli Esteri- siamo settimi, da quarti o quinti che eravamo. E la tendenza inarrestabile è che il nostro futuro non sia più tra i primi 4-5 paesi più ricchi del mondo”. Per sfuggire a un destino segnato dalla crescente importanza dell’asse trans-pacifico cino-russo, bisogna investire sulla capacità dell’Europa di assumere iniziative e muovere risorse.
“La forza della politica estera italiana si dispiega nella dimensione europea- dice D’Alema- il nostro posto nel mondo è legato alla ripresa coraggiosa e vigorosa del processo di integrazione europea”.
Serve dunque una “politica forte, lungimirante, un’inversione di rotta, una classe politica seria mentre, purtroppo, quella di oggi non sembra essere all’altezza delle sfide e delle opportunità. La forza della politica estera italiana si dispiega nella dimensione europea”, dice D’Alema e “non c’è un posto per noi a tavola, bisogna avere la forza di conquistarlo”. Ma per farlo, per sedersi a quel tavolo servono risorse che si stanno sempre più assottigliando. “L’Italia ha cancellato dal bilancio le politiche di aiuto allo sviluppo, ha rinunciato a buona parte dei suoi impegni internazionali”. A sostegno della sua tesi D’Alema ha ricordato come tra il 2007 e il 2008 il governo Prodi destinava lo 0,35 per cento del Pil alla politica estera. “Oggi siamo riscesi allo 0,27- dice D’Alema- ma quello che colpisce è che l’Italia ha cancellato gli aiuti allo sviluppo, soffre di un’imbarazzante morosità nei confronti del fondo mondiale per l’Aids e di molte agenzie multilaterali. E’ chiaro- conclude- che se vengono meno questi impegni si indebolisce enormemente, dal punto di vista dell’immagine e della sostanza, il ruolo dell’Italia. Essere protagonisti attivi del multilateralismo costa”.
da www.partitodemocratico.it
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