Cristina scrive e Francesca dirige lo spettacolo-pamphlet “Libere” “Per proporre un modello femminile nuovo e sentirsi meno sole”
Ci voleva «un gesto di teatro», dice Francesca Comencini, per lanciare una mobilitazione di idee, proposte e desideri che riguarda le donne di oggi. Quelle, spiega l’attrice Lunetta Savino, «che non si riconoscono nelle storie e nelle immagini rimandate da certe cronache», quelle «contrarie alle scorciatoie», quelle che bando alla «lagna, perchè bisogna essere vitali e propositive». Ci voleva un atto creativo che mettesse insieme, come accade stasera a Roma, all’Accademia Nazionale della Danza, donne di diverse generazioni e le facesse dialogare, anche per ritrovare il senso perduto della comunità: «Quando mi hanno chiamata – dice un’attrice giovane e sulla cresta dell’onda come Isabella Ragonese – mi sono sentita meno sola». Lo spettacolo si chiama Libere, lo firma Cristina Comencini e la regia è della sorella Francesca. Sulla scena si fronteggiano due interpreti di età differenti, molto amate dal pubblico del cinema e della tv, molto premiate, molto richeste. Due che, in questo momento della loro carriera, potrebbero fregarsene di pensare all’identità femminile calpestata: «Mi ha colpito – racconta Savino – una cosa che mi ha raccontato Paola Cortellesi. Una sera, all’uscita del suo camerino, si è trovata davanti un padre con una ragazza giovanissima. La richiesta era: mia figlia vorrebbe diventare famosa, che cosa deve fare?. Il punto era solo quello, acquistare visibilità, e quindi capire quale fosse il mezzo più rapido per riuscirci. Non c’era una passione specifica per qualcosa, solo la voglia di guadagnare in fretta la luce dei riflettori».
In questo e in tante altre cose, dice Savino, «c’è qualcosa di insano». Qualcosa a cui si può porre rimedio, anche mettendo a confronto, come accade in scena, due donne che si parlano: «Sono nata negli Anni Ottanta – osserva Ragonese -, quando la tv era già piena di Drive in, certo, siamo state educate alla libertà, ma poi crescendo ci siamo scontrate con un mondo che va da un’altra parte». Quello dello spettacolo, per tanti aspetti più aperto e illuminato, non fa eccezione: «La bella presenza è diventata una voce del curriculum. E basta guardare uno show in tv per notare lo stupore provocato da una presentatrice o da una valletta che risponde a tono e dice cose sensate. E poi le toilette. Su quelle delle donne il giudizio estetico è sempre più duro, e non riesco a capire perchè ancora oggi si debbano vedere, in qualsiasi programma, uomini normalmente vestiti con accanto signorine in mutande e reggiseno. Ma perchè?». A lei è andata bene. Paolo Virzì, in Tutta la vita davanti, l’ha lanciata nel ruolo di una ragazza normale: «Quando siamo andati in giro a presentare il film, continuavo a incontrare spettatrici che mi dicevano oddio, finalmente mi sento rappresentata. Il mondo è talmente vario… e invece il cinema ripropone sempre e solo due immagini femmnili, la bonazza e la sfigata. Se sei una via di mezzo è un guaio, non sei strafiga e non sei nemmeno così brutta da poter fare le parti da caratterista».
All’appello del gruppo «Di Nuovo» hanno risposto in tante, attrici comprese, ma, racconta Savino, «ho anche trovato diffidenza. Nell’universo degli attori c’è tanto individualismo, reticenza ad esporsi». Tra le prime a dire di sì, Stefania Sandrelli, Carla Signoris, Isabella Ferrari, Angela Finocchiaro, Carlotta Natoli, Cristiana Capotondi, Isa Danieli, Maddalena Crippa: «Vogliamo trovare un linguaggio diverso da quello della politica, scegliere noi le nostre rappresentanti, lavorando in modo trasversale, quindi inglobando orientamenti diversi». Al centro di Libere, cui seguirà dibattito, (e che avrà riprese autunnali), c’è il dialogo, dice Francesca Comencini, «tra la nostra generazione e quella delle ragazze più giovani, per capire che cosa abbiamo lasciato in eredità e che cosa, invece, non siamo riuscite a trasmettere». Intorno alle donne, nonostante le battaglie e le conquiste, qualcosa si è fermato: «Non amo il lamento, ma mi è capitato varie volte, per esempio leggendo le critiche, di avvertire un certo tono condiscendente e di pensare che, se fossi stata uomo, gli accenti sarebbero stati diversi». Libere è importante anche per un altro motivo, piccolo, personale, tenuto volutamente tra parentesi: «Io e Cristina abbiamo sempre avuto percorsi diversissimi, questa è anche una bella occasione per abbandonare certe reciproche e sane rivalità, ritrovando la felicità di lavorare insieme».
da www.lastampa.it
******
«Non è cambiato nulla, gli uomini continuano a odiare le donne», di Silvia Ballestra
Due elementi colpiscono nell’ennesima giornata di follia omicida contro le donne. Il fatto che Gaetano De Carlo, a poche ore l’una dall’altra, abbia ucciso ben due ex fidanzate, e che l’assassino fosse uno “stalker” conclamato. Non un raptus, non qualcosa di inatteso. Con Maria Montanaro la relazione era finita da poco, Livia Balcone, invece, sua compagna in un passato non vicinissimo, era già da un po’ vittima delle sue persecuzioni. Minacce, molestie e anche un’aggressione, che l’avevano spinta a depositare ben sette denunce contro quest’uomo pericoloso, fargli togliere il porto d’armi. C’era in corso un processo che però non è bastato a fermarlo, così al dolore di amici e parenti delle vittime si aggiunge la frustrazione. Un’impotenza che coglie anche chi si occupa di queste questioni da tempo poiché si ha la sensazione che, nonostante la presa di coscienza del problema “femminicidio” di questi ultimi anni, le cifre della cronaca sembrano inarrestabili. La legge sullo stalking, da noi, è recente ed è presto per fare bilanci ma è certamente un passo avanti, il riconoscimento di un problema, l’ultimo campanello d’allarme. Ora, è vero che, sebbene sembrino rispondere a un copione, a un preciso profilo criminale, questi delitti hanno a che fare con specifiche patologie, dinamiche, rapporti. Solitudini, ossessioni, desideri insoddisfatti. Ma non dipendono solo dalle singole storie personali e familiari: chiamano in causa anche la condizione socio-culturale, e dunque politica, di un Paese intero. Da tempo, ormai, da più parti, si sottolinea come il corpo delle donne sia oggetto delle più diverse forme di violenza e sopruso. Ciò che solo qualche anno fa sembrava indicibile, liquidato come argomento polveroso e “vetero”, ci è stato ora raccontato e mostrato, analizzato e denunciato anche nella sua versione più attuale: la mercificazione continua del corpo della donna – buono per vendere di tutto – è talmente martellante e presente da non poter più essere negata o liquidata con argomentazioni leggere da commedia all’italiana. Da anni si parla di veline e velinismo, si parla di monnezza sottoculturale, di modelli deleteri, di certe trasmissioni orrende che sviliscono le donne, ma da quel versante nulla cambia. Pupe, veline e bonazze in costume continuano a occupare l’etere e lo spazio con ammiccamenti e promesse irraggiungibili. Ci siamo indignate, indignati, abbiamo scritto che tutto si tiene, che considerare le donne come merci da possedere e esibire non è dignitoso per nessuno e non può restare senza conseguenze. Nel frattempo abbiamo scoperto che da noi le donne sono usate anche come benefit nella corruzione dei potenti. Chissà allora se una legge sulle persecuzioni può bastare o non servirebbe, pure, un cambiamento più generale, uno scatto d’orgoglio. Una recente classifica della qualità della vita nelle città, accanto a qualità, quantità e efficienza dei servizi, livello dell’offerta culturale, ha posto come parametro anche il numero di omicidi e violenze domestiche: non sarà un caso che fra le prime venticinque non c’è nessuna città italiana.
da www.unita.it