I giuristi inglesi dell´800 sostenevano che ci sono solo due modi per governare una società: l´opinione pubblica e la spada. Con l´affondo sulla legge che limita le intercettazioni Silvio Berlusconi li sta pericolosamente sperimentando tutti e due. Impone il bavaglio ai mass-media, per evitare che i cittadini sappiano ciò che si muove dentro e intorno al potere politico. Dispone il blitz in Parlamento, per costringerlo a votare questa legge-vergogna prima della pausa estiva.
Quanto accaduto alla Camera la dice lunga sullo stato di esaltazione e insieme di confusione che anima la maggioranza e il suo leader. C´è un presidente del Consiglio che alterna episodici momenti di ragionevolezza e drammatici sprazzi di dissennatezza. Ieri sono andati in scena i secondi: il premier ha voluto a tutti i costi che la conferenza dei capigruppo di Montecitorio calendarizzasse per il 29 luglio la discussione in aula del testo sulle intercettazioni. E ci è riuscito. Con il risultato, paradossale, che il dibattito sulla legge-bavaglio finirà per intrecciarsi a quello sulla manovra economica. Con buona pace degli appelli del presidente della Repubblica, che aveva invocato senso di responsabilità e aveva chiesto ai partiti di dare la priorità assoluta alla manovra, l´unico tema che sta realmente a cuore agli italiani, e di lasciar perdere le questioni che hanno come unico effetto quello di avvelenare i pozzi del confronto parlamentare e del discorso pubblico. Una mossa pericolosa, dunque. Benzina sul fuoco, alla vigilia della manifestazione contro la legge-bavaglio organizzata oggi in diverse piazze d´Italia.
In questa mossa del premier c´è un profilo di indecenza istituzionale, già ampiamente dimostrata dalle continue provocazioni contro il Quirinale. E c´è un profilo di arroganza politica, già ripetutamente esercitata attraverso i continui attacchi contro i nemici interni della maggioranza e quelli esterni dell´opposizione. Fa bene il Pd, insieme a tutte le forze che si oppongono a questo centrodestra, ad annunciare un Vietnam parlamentare, di fronte all´ennesima forzatura voluta dal capo del governo. Ma stavolta, occorre dirlo, ha fatto male il presidente della Camera ad accettare il diktat dei capigruppo della maggioranza, salvo poi far filtrare a giochi fatti la sua presa di distanza. «Una scelta irragionevole», l´ha definita Gianfranco Fini. Ma se davvero la considerava tale, avrebbe potuto e dovuto evitarla, invece che avallarla. A livello personale Fini incassa un vantaggio: smarcandosi dal Cavaliere nella forma lucra il massimo della rendita mediatica, dandogliela vinta nella sostanza non paga alcun prezzo politico. Ma a livello più generale il calcolo è ben diverso. Il giochino è a somma zero: stavolta non c´è stata alcuna «riduzione del danno» (che il co-fondatore del Pdl dice spesso di perseguire, per arginare i disastri imputabili al fondatore). Stavolta, in questa provocatoria accelerazione puntualmente benedetta da Bossi in nome del sacro federalismo, c´è solo il «danno». E rischiamo di pagarlo tutti.
C´è un profilo di tutela giurisdizionale delle indagini, irrinunciabili in qualunque Stato di diritto. Non c´è da aggiungere altro, rispetto a quanto hanno denunciato durante le audizioni in Commissione giustizia di Montecitorio non solo e non tanto dalle famigerate «toghe rosse» dell´Anm, quanto piuttosto dai magistrati in prima linea. Per esempio Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia: «Il disegno di legge, con le ultime modifiche, ha peggiorato la situazione per quanto riguarda la mafia e il terrorismo, con effetti devastanti sulle indagini… Le intercettazioni ambientali non si potranno più fare nei luoghi privati di dimora perché hanno bisogno, per essere autorizzate, della dimostrazione che in quel posto si sta commettendo un reato: agli inquirenti si chiede una ‘prova diabolica´ impossibile da fornire». Oppure Giovandomenico Lepore, procuratore capo di Napoli: «Le limitazioni alle intercettazioni danneggiano le indagini… Difficilmente, senza le intercettazioni, avremmo potuto capire come si svolgeva il traffico di droga che ci ha appena portato all´arresto di 28 persone nel quartiere San Giovanni a Teduccio». O ancora Rosario Cantelmo, procuratore aggiunto: «In 40 giorni di osservazione sono state documentate 870 azioni di spaccio. Tutto ciò non sarebbe stato possibile con la nuova legge». O infine Antonio Ingroia, procuratore antimafia a Palermo: «Le intercettazioni sono il principale strumento di indagine contro la criminalità mafiosa, economica e politica; oggi l´80% delle indagini si basa su questo strumento… Se il ddl passasse senza modifiche si tornerebbe indietro di 40 anni».
C´è un profilo di tutela costituzionale dei diritti, insopprimibili per qualunque democrazia. Lo sosteniano da settimane, anche attraverso la campagna dei post-it: la legge-bavaglio nega ai cittadini il diritto di essere informati. E l´informazione, in questo testo inemendabile, è violata in senso attivo e passivo: la legge-bavaglio nega ai mass media il diritto di informare. In nome di un´idea malintesa della privacy, e con il pretesto della difesa della riservatezza, il centrodestra opera un clamoroso sbilanciamento tra i diritti costituzionali meritevoli di tutela. Lo hanno detto e scritto i più autorevoli giuristi italiani, da Gustavo Zagrebelski a Valerio Onida. Ora lo ripete anche il Garante per la privacy Francesco Pizzetti, nella sua relazione annuale al Parlamento: «Nel ddl sulle intercettazioni si sposta oggettivamente il punto di equilibrio tra libertà di stampa e tutela della riservatezza, tutto a favore della riservatezza, e questo può giustificare che da molte parti si affermi che, così facendo, si pone in pericolo la libertà di stampa». È esattamente quello che pensiamo, al di là di tutte le risibili distorsioni ermeneutiche in cui si sono cimentati i cortigiani del Pdl. Ed è confortante che a ribadirlo sia il presidente di un´Authority, proprio nel momento in cui Berlusconi e il suo «cardinal Mazzarino» (l´immarcescibile Gianni Letta) usano queste istituzioni amministrative indipendenti come «succursali» governative in cui spartire e moltiplicare poltrone, a beneficio della solita «cricca» dei grand commis di regime.
Per tutte queste ragioni, la legge-bavaglio non può e non deve passare, nonostante i colpi di spada del presidente del Consiglio e i suoi dissennati appelli a scioperare contro i giornali. «Un giornalismo onesto e indipendente è la forza più possente che la civiltà moderna abbia sviluppato. Malgrado i suoi errori è indispensabile alla vita delle persone libere. Le frontiere del privilegio costituzionale della stampa sono tanto ampie quanto il pensiero umano…». Lo scrisse un secolo fa Alton Parker, giudice supremo della Corte d´Appello di New York. Un magistrato di enorme spessore, che contribuì a fare grande la democrazia americana. Una «toga» che Berlusconi, oggi, definirebbe senz´altro una «metastasi».
La Repubblica 01.07.10