Incertezza e precarietà minacciano la vita degli istituti culturali, sospesi sotto la scure della Finanziaria. Se non passasse l’emendamento del Partito democratico, che propone di eliminare i tagli o di contenerli entro il 10 per cento contro il dimezzamento previsto da Tremonti, è a rischio la sopravvivenza di musei e fondazioni, rappresentativi della più blasonata ed eterogenea mappa culturale, dal Croce al Gramsci, dallo Sturzo al Basso, dal Giovanni XXIII all’istituto per la storia del movimento di Liberazione. Ancora si ignorano i criteri con cui il ministro Bondi intende salvare o seppellire definitivamente gli istituti, ma secondo una voce circolata sempre più insistentemente nell’associazione che li rappresenta, il criterio potrebbe essere quello di dimezzare fondi del cinquanta per cento per ciascun ente. Un taglio indiscriminato, che provocherebbe molti sommersi e nessun salvato. “Un’ipotesi nefasta”, commenta Lucia Zannino della Fondazione Basso, segretaria generale dell’Associazione degli Istituti Culturali Italiani. “Se dovesse passare questa soluzione, le conseguenze sarebbero molto gravi. Il ridimensionamento rischia di portare molti istituti alla chiusura, con la perdita di un prezioso bagaglio di esperienza accumulato nel tempo”.
Piuttosto nutrito appare il cahier de doleances preparato per il ministro. “Non saremmo più in condizione di partecipare ai programmi e alle reti internazionali”, dice Zannino. “Per i molti istituti che vantano uno straordinario patrimonio archivistico e bibliografico, è inevitabile la limitazione degli orari di apertura al pubblico. Senza contare la riduzione dell’attività di catalogazione e inventario, oltre che dell’acquisizione di nuovi libri, con conseguente peggioramento del servizio”.
Il dimezzamento del 50 per cento, a fronte del taglio del dieci per cento a tutti gli altri comparti, appare “ingiustificatamente punitivo”. “Colpisce inoltre la genericità di un taglio che opera senza distinzioni, mentre si enfatizza l’importanza della valutazione e del merito”, si legge in un documento firmato dalla comunità degli storici italiani. Quel che propongono gli studiosi per il futuro – nell’esile speranza che gli istituti sopravvivano – è “una distribuzione di risorse sulla base della vitalità dei progetti realizzati, che dovrebbero essere valutati a priori e a posteriori da persone competenti”.
Un criterio sui tagli, con l’auspicio che siano fortemente ridotti, è suggerito da Girolamo Arnaldi, insigne medievalista con una lunga esperienza nei beni librari. “Bisognerebbe distinguere le fondazioni che non hanno bisogno dello Stato per sopravvivere, come le pur benemerite Fondazioni Cini o Mondadori, e gli istituti che beneficiano soltanto dei fondi pubblici, come l’Istituto Italiano per la storia antica, l’Istituto per la storia del Risorgimento, l’Istituto storico per il Medioevo e l’Istituto storico per l’Età Moderna e Contemporanea: per questi enti il dimezzamento dei finanziamenti significherebbe la chiusura”. Allo spirito della legge che fissa i finanziamenti, premiando i centri dotati di un patrimonio archivistico e bibliografico, si richiama l’associazione guidata dalla Zannino: “Il ministero potrebbe realizzare anche un monitoraggio delle attività, per valutare chi lavora e chi no: sarebbe l’unico criterio per una scelta rigorosa
La Repubblica 30.06.10