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«Italia fuori e Calderoli nel pallone», di Tito Boeri e Fausto Panunzi

Nell’ansia di semplificare, il ministro per la Semplificazione Calderoli ha trovato, immediatamente dopo l’eliminazione dell’Italia ai Mondiali di calcio, la diagnosi e la terapia dei problemi delle nostre squadre: troppi stranieri sui campi italiani e pochi giocatori allevati nei vivai nazionali. In realtà l’esperienza italiana e di altri paesi lo smentisce. I veri problemi del calcio italiano, seri e strutturali, sono gli stadi inadeguati e l’eccessiva dipendenza dei ricavi dalla televisione, aggravati da una mancanza di leadership a livello di Lega e Federazione.

Dopo eliminazioni così amare come quella subita ieri dalla nazionale di calcio italiana, bisognerebbe rimanere calmi e ragionare con la testa fredda. Invece il ministro Calderoli ha già trovato in poche ore diagnosi e terapia: la colpa è dell’eccessivo numero di stranieri che giocano nelle squadre italiane. La possibilità di “importare” extra-comunitari avrebbe ridotto gli incentivi per i nostri grandi club a investire sui giovani, rinunciando a coltivare i vivai. Inoltre gli stranieri rubano il posto ai giovani talenti italiani. Basterà quindi chiudere le frontiere per avere una Nazionale di nuovo vincente.

GIOCATORI NON APPREZZATI ALL’ESTERO
Calderoli è Ministro per la Semplificazione, ma stavolta semplifica troppo. Partiamo dall’ovvio. L’Italia è tuttora campione del mondo in carica (seppur per altre due settimane). Quattro anni fa le frontiere erano aperte e c’erano decine di stranieri che giocavano nelle squadre italiane. Le frontiere erano già aperte quando siamo arrivati terzi a Italia 90 (Maradona era già l’idolo di Napoli) e persino, seppure in modo limitato, quando siamo diventati campioni del mondo nel 1982.
Inoltre quello italiano non è certo l’unico campionato pieno di stranieri. Lo sono anche quelli di Spagna, Inghilterra, Germania e Francia. Ma solo la Francia, come noi, è già stata eliminata. Le altre sono tutte qualificate per gli ottavi di finale. La vera anomalia italiana degli ultimi anni è l’incapacità di esportare giocatori. Anni fa Vialli, Zola, Di Matteo, Gattuso, Carboni giocavano in Inghilterra o Spagna, in club come Chelsea o Valencia che lottavano per lo scudetto. Solo quattro anni fa Toni andava al Bayern. Oggi ci sono pochissimi giocatori italiani che giocano fuori dai nostri confini e tutti in squadre di secondo piano. Questo non dipende certo dal fatto che le squadre straniere non possono pagare stipendi competitivi: il Real strapaga Cristiano Ronaldo e Kakà e il Barcellona Ibra. E gli allenatori italiani hanno mercato all’estero: Ancelotti al Chelsea, Capello allenatore dell’Inghilterra, Mancini al City, Spalletti allo Zenit. Vuol dire che pochissimi giocatori italiani sono apprezzati all’estero. Questo è il vero problema. Chiudere le frontiere non aiuta molto se il problema è che i beni prodotti internamente non sono competitivi sui mercati internazionali. Senza contare che chiudere le frontiere, invece, servirebbe solo a far salire il monte salari e spingere ancor più verso il rosso i bilanci delle società italiane e che, grazie ai giocatori extra-comunitari, come brasiliani e argentini, i nostri club sono riusciti spesso a ben figurare in competizioni a livello internazionale, acquisendo esperienza in incontri di alto livello.

CHI FA LA DIFFERENZA IN CAMPO
Esiste certamente un problema vivai, non solo a livello italiano. La possibilità di strappare talenti in giovane età rende meno conveniente investire internamente rispetto a usare il mercato. Nel trade-off tra “make or buy” oggi nel calcio conviene decisamente il buy. Forse le politiche di compensazione per la formazione dei giovani talenti dovrebbero essere riviste. Ma non dimentichiamo neanche che le squadre sudamericane sono esposte allo stesso problema e non sembrano risentirne in alcun modo, almeno a vedere la loro performance ai Mondiali. E neanche, a livello di club, il Barcellona, squadra che da sempre investe molto nel vivaio, sembra averne troppo sofferto.
Infine una considerazione più calcistica. Nel calcio basta poco per fare una grande differenza nei risultati sportivi. Se andiamo a vedere la performance della Francia negli ultimi quattro mondiali vediamo che ha fatto sempre benissimo quando aveva Zidane in campo (Francia 1998 e Germania 2006) e malissimo quando non c’era (nel 2002 era infortunato e giocò solo la terza e ultima partita, peraltro in condizioni menomate). L’Inghilterra sembra un’altra squadra rispetto a pochi mesi fa perché Rooney non si è ancora ripreso dall’infortunio alla caviglia. Insomma, il calcio italiano ha problemi seri e strutturali: stadi inadeguati e eccessiva dipendenza dei ricavi dalla televisione, aggravati da una mancanza di leadership a livello di Lega e Federazione. Ma sull’eliminazione di ieri forse hanno pesato di più gli infortuni di Buffon e Pirlo e la testardaggine di Lippi.

da http://www.lavoce.info