E’ irrituale il comunicato di Napolitano sul caso Brancher? Può darsi; ma certamente è fuori da ogni rito democratico che un ministro senza ministero, prima ancora di capire quale sia il suo daffare nel governo, mandi a dire ai propri giudici che ha troppo da fare, verrà in tribunale un’altra volta. Trasformando il sospetto in una prova, quanto alle ragioni della sua fulminea nomina. E soprattutto trasformando il legittimo impedimento in un’onda collettiva di legittima indignazione, come ha scritto Cesare Martinetti su questo giornale. Di tale sentimento il Presidente non può che farsi interprete, nel suo ruolo di custode di valori etici, oltre che giuridici. Anche il diritto, però, vuole la sua parte. E almeno in questo caso il diritto sta dalla parte del nostro Presidente. La legge n. 51 dello scorso 7 aprile – che ha introdotto questa via di fuga dalle aule giudiziarie per il premier e per i suoi ministri – stabilisce che il legittimo impedimento può essere invocato quando altrimenti verrebbe ostacolata una funzione di governo. Nel suo tenore letterale, l’art. 1 della legge non distingue fra ministri con dicastero ovvero senza portafoglio. Aggiunge tuttavia che l’attività ministeriale dev’essere di volta in volta disciplinata da una norma, non dai desideri dell’interessato.
Quale specifica attività ministeriale impedisce al neoministro di presentarsi in tribunale? E qual è la specifica norma che la regola? C’è poi un’ultima questione, sempre in punta di diritto. La legge parla di «legittimo» impedimento, non d’impedimento «assoluto». Il primo è sindacabile dal giudice, il secondo no. Significa che un’interpretazione costituzionalmente orientata può temperare le due esigenze in gioco – quelle del governo e quelle della giustizia – senza sacrificare troppo l’ultima alla prima. Significa perciò che ogni magistratura giudicante potrà ben valutare se l’impedimento è davvero «legittimo», ossia conforme alle leggi sull’attività ministeriale. Ecco, è questo il senso del comunicato che abbiamo letto ieri. Un avallo interpretativo – il più autorevole, anche perché dettato da chi presiede il Consiglio superiore della magistratura – verso letture compatibili con la Costituzione, quando si tratta di applicare questa legge travagliata. Poi spetterà ai giudici l’ultima parola.
La Stampa 26.06.10