La protesta delle Regioni contro il governo che scarica sulle amministrazioni locali il peso maggiore della manovra da ieri ha assunto toni da rivolta. I governatori minacciano nientemeno che di rinunciare alle loro competenze in molte materie su cui da tempo il potere centrale non esiste più. La spiegazione, data a nome di tutti dal presidente della Conferenza Stato-Regioni Vasco Errani, è che tagliando i fondi previsti per una serie di servizi la manovra rende impossibile garantirli, a meno di non procedere, localmente, all’istituzione di nuove tasse per finanziarli.
Va detto che era abbastanza prevedibile che sarebbe finita così. La vicenda di un governo che a Roma si vanta di «non aver messo le mani nelle tasche degli italiani» mentre in periferia costringe le amministrazioni a farlo era apparsa chiara da quando l’impianto della manovra fu spiegato per la prima volta. Nel nostro Paese, più che in altri, tagli e tasse si equivalgono: l’Italia, rispetto alla Francia, tanto per fare un esempio, è più avanti in fatto di decentramento: in molte materie come trasporti pubblici locali, polizia amministrativa, incentivi alle imprese, parte della Protezione civile, invalidi civili, agricoltura, viabilità e ambiente, oltre naturalmente alla Sanità, che da sola copre più di metà dei bilanci regionali, le amministrazioni locali hanno potestà esclusiva o quasi esclusiva, ma il finanziamento dei servizi che devono fornire è ancora assicurato dallo Stato, che è il destinatario centrale della quasi totalità delle entrate ricavate dalle tasse.
Come mercoledì i sindaci che avevano appreso dai giornali della possibilità allo studio di una nuova imposta comunale per rimpiazzare l’Ici, abolita dal 2008 e mai reintegrata con trasferimenti di fondi da parte del governo, così oggi anche i governatori vorrebbero sapere quale sorte li aspetti. Va da sé che in un quadro del genere la ormai sommersa discussione sul federalismo, prima di tutto su quello fiscale, torna drammaticamente d’attualità, e non a caso il leader della Lega l’altro giorno è andato a parlarne con il Capo dello Stato. La sensazione è che un governo con le casse vuote e con una capacità famelica di tagliare i fondi per le Regioni e i Comuni non sia affatto pronto a rinunciare al centralismo delle tasse. Accanto al contenzioso sulle tabelle dei bilanci dei governatori, e sui futuri aumenti, tra gli altri, dei biglietti dei tram e dei bus, è quindi destinato a crescere anche l’attrito politico su uno dei punti chiave dell’alleanza che cementa il patto tra Pdl e Lega.
La Stampa 25.06.10
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