Nelle primarie e secondarie gli orari verranno “falciati” di almeno 120 minuti settimanali.
Il pedagogista Vertecchi: è folle La psicologa Roncoroni: i ritmi serrati sono inutili . Sono gli anni più lenti e più veloci di tutta la vita. Quelli del crescere e dell´imparare. Quelli in cui ci si trasforma da bambini in adolescenti, e poi in ragazzi che s´affacciano al futuro. Sono i tempi della scuola, spesso indimenticabili nel gioco dei ricordi, tra libri, amori, amicizie, dall´infanzia all´università, dalle elementari al liceo, quando molto, anzi quasi tutto, si forma. È il tempo del sapere, che in Italia “conta” 200 giorni di lezione l´anno come in Olanda e in Germania, contro i 180 giorni della Francia, i 190 di Inghilterra, Finlandia, e Norvegia, i 178 della Svezia, i 175 della Spagna e della Grecia. Un ciclo che varia da nazione a nazione, ma che oggi in tutta Europa è oggetto di dubbi, sottoposto a revisioni acuite dalla crisi, dai tagli di welfare, ma anche dal diffondersi di nuovi saperi e nuove competenze. Ma è possibile, è legittimo intaccare “gli anni del sapere”, come sta avvenendo in Italia? O non sarebbe giusto, allora, investire sul futuro delle menti potenziando fondi e istituzioni? Il prossimo autunno nelle scuole primarie e secondarie gli orari verranno “falciati” almeno di 2 ore alla settimana, e 150mila bambini di prima elementare resteranno senza tempo pieno. Per il ministro Gelmini, però, non si tratta di tagli ma di «riforme di qualità».
«È folle toccare il tempo della scuola – tuona un pedagogista famoso ed impegnato come Benedetto Vertecchi – i giovani non sanno più scrivere, non sanno più contare, non condanniamoli all´ignoranza». La polemica è feroce. Infatti, mentre in queste settimane nel nostro Paese si accorciano le ore della didattica, in Francia al contrario la settimana “breve” tornerà ad essere lunga. E in Germania, dove già i tempi dell´apprendimento superano i tetti massimi della Ue, è partito un massiccio investimento su asili d´infanzia e nidi statali, per allargare “in entrata” la permanenza nella scuola. Un confronto netto. Eppure il ministro dell´Istruzione ha proposto di estendere addirittura fino ad ottobre le vacanze estive, già oggi tra le più lunghe di tutta l´Europa. Tredici settimane consecutive, contro una media di 6 o 7 nel resto della Ue, un tempo più dannoso che utile, come ormai sottolineano esperti, genitori, studiosi. In Francia invece il Governo ha convocato nei giorni scorsi la Conferenza nazionale sui ritmi scolastici, per annunciare l´abolizione del mercoledì festivo e cinque giorni di lezioni full time anziché i quattro attuali. Obiettivo: rendere meno “compresso” il tempo dello studio, ma soprattutto armonizzare la vita scolastica e la vita familiare. Perché la scuola, in Italia come in Francia e nel resto d´Europa, sottolinea Daniela Del Boca, professore di Economia politica all´università di Torino, «non è soltanto il luogo dell´insegnamento, ma è diventata nel tempo un contenitore sociale fondamentale, in un´epoca di figli unici e di genitori che lavorano entrambi, per i bambini e i ragazzi è forse l´unica vera area di socializzazione protetta, l´alternativa è la solitudine di case vuote, davanti al computer o alla tv».
Il tempo pieno infatti, istituito nel nostro Paese con una legge del 1971, in anni in cui l´Italia puntava a una scolarizzazione di massa ancora incompiuta, ha cambiato radicalmente la vita domestica, permettendo, dice Del Boca, «un massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro». Laddove è stato applicato, e cioè quasi esclusivamente nelle regioni del Nord e del Centro, il numero delle donne occupate è passato dal 36% al 46%. «Non si può tornare indietro: per le famiglie sarebbe, anzi sarà, una tragedia sociale – osserva la docente -. Chi si occuperà di questi bambini e ragazzi il pomeriggio? Chi avrà soldi per pagare baby sitter, corsi di lingua, di nuoto? Proprio in un momento in cui le famiglie subiscono un impoverimento radicale la scuola chiude le porte. Ma la conoscenza non è soltanto studio: è interazione, colloquio con i propri pari…».
Al di là del welfare, sottolinea Annamaria Roncoroni, psicologa ed esperta di meccanismi di apprendimento, quello che qui entra in gioco è la capacità di assimilare la conoscenza. «Il taglio delle ore è uno sgambetto per gli studenti – dice Roncoroni – anche se non sempre il tempo pieno è stato sinonimo di qualità. Una cosa certa è che l´attenzione di un bambino di sei o sette anni non dura più di quindici minuti. Poi i bambini hanno bisogno di muoversi, di giocare, per ritrovare la loro concentrazione. Per questo è necessario un tempo disteso, è del tutto inutile bombardare la testa di un ragazzino per poche ore serrate, quando è provato che la sua attenzione è altrove. La fretta è nemica dei più piccoli. Li mette in ansia, crea frustrazioni. Perché la testa assimili ci vogliono delle pause. In questo senso molti sistemi europei, che frazionano le vacanze, alternandole più spesso durante l´anno, sono in realtà più funzionali all´apprendimento». Giustificando la decurtazione di ore che cambierà per sempre il volto della scuola italiana, il ministro Gelmini si è difesa sostenendo che in Italia i giorni di lezione sono i più numerosi di tutta l´Europa. Benedetto Vertecchi però dissente. Il grande equivoco, afferma, è quello di «confondere l´orario delle lezioni con l´orario della scuola, mentre il tempo della didattica è soltanto una parte di quello spazio fisico e mentale, dove i ragazzi imparano a crescere e a scoprire la cultura». Se pensiamo, dice Vertecchi, «che in tutto il mondo le classi abbienti tengono i loro figli a scuola il più a lungo possibile, dove il modello d´élite è quello del college, ci rendiamo conto di quanto sia sbagliato pensare di sottrarre ai ragazzi italiani gli anni del sapere. Un vero furto del loro futuro».
Pubblicato il 22 Giugno 2010