In questa stagione torbida le prove di decostituzionalizzazione si susseguono e si infittiscono. Per la prima volta nella storia della Repubblica un governo vuole modificare un articolo della parte iniziale della Costituzione, l´articolo 41.
Una norma contigua, l´articolo 40 che disciplina il fondamentale diritto di sciopero, viene messo concretamente in discussione dal documento della Fiat riguardante i lavoratori di Pomigliano d´Arco. Non a caso dall´attuale maggioranza si è affermato perentoriamente che è venuto il momento di cambiare lo stesso articolo 1, considerandosi anacronistico che si parli di «una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Ancora il Governo propone di modificare l´articolo 118, altri ritengono che si deve porre mano all´articolo 81 e si è addirittura pubblicamente sostenuto che si debba ammettere il referendum sulle leggi tributarie, escluso dall´articolo 75. In questo clima si dice apertamente che deve cadere il tabù della prima parte della Costituzione, e che è tempo di cambiarne persino i principi fondamentali. Ho parlato di decostituzionalizzazione, e non di modifiche, perché siamo di fronte a tentativi dichiarati di liberarsi della Costituzione. Sembra così giungere a compimento un vecchio progetto, che attraversa tutta la storia della Repubblica e che finora era stato sventato. Il caso dell´articolo 41 illustra bene lo stato delle cose. In questi giorni sono state ricordate la genesi e la portata della norma: storia nota, consegnata da anni a studi impeccabili, che smentiscono sia la tesi di una sua ascendenza comunista, sia quella dell´impossibilità di introdurre regole più flessibili per le imprese senza modificare quell´articolo. L´ignoranza della storia sta divenendo una sua continua falsificazione. Non si leggono gli atti dell´Assemblea costituente né la giurisprudenza costituzionale, si inventano inesistenti “vuoti” costituzionali, che dovrebbero essere colmati con le parole “mercato” e “concorrenza”, necessarie perché l´Italia si allinei all´Europa e all´ultima generazione di costituzioni. Un´altra falsificazione. La concorrenza non figura più tra i principi di base del Trattato europeo di Lisbona: piaccia o no, questo è il risultato di una iniziativa di Sarkozy, che l´ha confinata in uno dei tanti protocolli che accompagnano il Trattato. Tutte le costituzioni europee prevedono il diritto dei poteri pubblici di regolare il funzionamento del mercato e quando questa parola compare, come nella costituzione spagnola, la si accompagna con la previsione esplicita del potere dello Stato di sottoporla a pianificazione. E ricordo per l´ennesima volta quel che è scritto nella costituzione tedesca: “La proprietà impone obblighi. Il suo uso deve al tempo stesso servire al bene della collettività” (art. 14); “la proprietà terriera, le ricchezze naturali e i mezzi di produzione possono essere trasferiti, ai fini della socializzazione, alla collettività o essere sottoposti a altre forme di economia collettiva mediante una legge che determini il modo e la misura dell´indennizzo”).
Peraltro, bisogna pure ricordare che l´articolo 41 si apre con le parole “l´iniziativa economica privata è libera”, che sono una evidente descrizione del mercato. Diventa così evidente il carattere strumentale e ideologico dell´operazione che si sta conducendo intorno all´articolo 41. Si addita questa norma come un ostacolo per fornire alla maggioranza un alibi per la sua perdurante incapacità di dare regole ragionevoli e per giustificare spallate pubbliche o private. Si cerca un collante per una maggioranza a pezzi, e si apre un inquietante scenario. Se la modifica costituzionale andrà in porto, sarà inevitabile un referendum su di essa e i costumi ormai noti del Presidente del consiglio lo indurranno a esasperare i toni, a gridare che si deve scegliere tra libertà e collettivismo, a evocare tutti i possibili “spiriti animali”, facendo sempre più terra bruciata, spazzando via ogni ragionevolezza, immergendoci sempre più profondamente nella regressione culturale.
Di questa regressione cogliamo ogni giorno i segni. Si ripropone una identificazione tra mercato e libertà che ignora persino la polemica che divise Croce e Einaudi, e che ci riporterebbe ai tempi in cui Adolphe Thiers, nel 1831, scriveva che “alla proprietà non possono darsi giudici migliori di essa stessa”. Si cade in contraddizione proponendo modifiche dell´articolo 41 insieme alla rievocazione dell´economia sociale di mercato. Si ignora una realtà nella quale la crisi finanziaria ha provocato autocritiche anche da parte di sacerdoti del mercato come Richard Posner. Si trascura proprio la planetaria discussione in corso sulle regole del mercato. E così non ci si accorge che proprio lì, nell´articolo 41, si trovano le indicazioni per collocare l´azione economica dei privati nella sua giusta dimensione, subordinandola agli ineludibili principi di dignità, libertà e sicurezza e riconoscendo che il mercato non è uno spazio separato della società. O siamo tornati a Margaret Thatcher e al suo “la società non esiste”?
Sui rischi dell´altra modifica annunciata dal Governo, quella dell´articolo 118, ha già richiamato l´attenzione Salvatore Settis. L´intenzione di sottrarsi alle lungaggini nella materia urbanistica, in nome dell´efficienza, può portarci a travolgere le garanzie necessarie per la tutela del territorio e del paesaggio, di cui parla esplicitamente l´articolo 9 della Costituzione, che così verrebbe fortemente depotenziato. Ma può il bisogno di efficienza travolgere ogni garanzia? È quello che dobbiamo chiederci davanti a quella forma di decostituzionalizzazione di fonte privata rappresentata dalla limitazione del diritto di sciopero contenuta nel documento della Fiat. L´articolo 40 della Costituzione, infatti, prevede che le modalità del diritto di sciopero possano essere regolate solo dalla legge. Siamo di fronte a un diritto indisponibile, necessario perché la democrazia non si fermi “ai cancelli della fabbrica” e che, se pure venisse negato in un solo caso, perderebbe la sua universalità e potrebbe essere negato in ogni altra situazione. Per contrastare gli abusi, se provati, esistono altre vie e altri strumenti.
La lotta per i diritti, dunque, riguarda ormai anche l´ambito dell´economia, si aggiunge alle rivendicazioni riguardanti il diritto della persona di governare liberamente la propria vita ed alla opposizione contro la legge bavaglio. Queste non sono iniziative figlie di una “egemonia borghese” da respingere in nome dei diritti del lavoro. Sul terreno costituzionale l´indebolimento pure di un solo diritto ha effetti negativi su tutti gli altri.
La decostituzionalizzazione deve essere fermata perché sta accompagnando la decomposizione del paese, le dà forma, la legittima. Ma, proprio perché violentemente aggredita, la Costituzione sta generando anticorpi sociali che la difendono in forme nuove e efficaci, che hanno messo in difficoltà gli aggressori, come dimostra la vicenda della legge bavaglio. Insistiamo.
La Repubblica 21.06.10