Sono più di cinquemila, pronti a disertare le cattedre. I ricercatori, contro la riforma dell´università, promettono lo sciopero della didattica. «Non spetta a noi tenere i corsi, l´abbiamo fatto per trent´anni e gratis, ora basta», dicono. Un numero che cresce di settimana in settimana e che preoccupa i presidi delle facoltà e i rettori, alle prese con la programmazione del nuovo anno accademico. Se a settembre queste cifre venissero confermate, migliaia di insegnamenti potrebbero rimanere senza un prof.
Contestano la riforma Gelmini che introduce la figura del ricercatore a tempo determinato, relegando chi è già dentro l´università su una specie di binario morto. Se la prendono col governo che taglia i fondi per la formazione e la ricerca. A Tor Vergata, l´11 giugno, una ventina di ricercatori ha tenuto gli esami indossando la maglietta con la scritta: «Ricercatore fuori produzione. Disponibile fino a esaurimento delle scorte». Sul tema è intervenuto anche il presidente della Crui, la conferenza dei rettori, Enrico Decleva: «Se passa la riforma bisogna prevedere piani straordinari di assunzioni, circa duemila posti all´anno per il riassorbimento degli attuali ricercatori che lavorano già nelle università e che possono diventare professori associati».
Uno dei due coordinamenti nazionali, il “29 Aprile”, tiene monitorata la protesta e assicura: sono oltre 5mila i ricercatori che, in 23 atenei su 66, hanno già aderito allo sciopero della didattica. «Alla Federico II – spiega da Napoli Alessandro Pezzella – sono circa 400 su un totale di 700 quelli che hanno dichiarato di non essere disponibili a insegnare». All´università di Firenze circa 200, «A Torino su 867 ricercatori interpellati – dicono al coordinamento – il 53% aderisce alla protesta, a Pavia il 64, a Padova il 72, a Cagliari il 69 per cento». I numeri sono provvisori e la tabella subisce mutamenti quotidiani. «La legge ci assegna compiti di didattica integrativa – spiega Loris Giorgini, di Bologna – significa che dovremmo collaborare con ordinari o associati, invece teniamo anche più corsi all´anno». «E adesso – aggiunge Piero Graglia, della Statale di Milano – si inventano di rendere precario il ruolo del ricercatore con un contratto triennale rinnovabile per due sole volte». Graglia sottolinea, però, che all´origine dello scontento c´è pure altro: «Faccio il ricercatore, a me preme avere i fondi per portare avanti i miei studi e invece qui si rendono precari ruoli e finanziamenti. Si parla di riforme a costo zero, mai di investimenti».
Hanno cominciato i ricercatori per il riconoscimento dello stato giuridico, ma ora si fanno sentire ordinari e associati i cui scatti stipendiali (come per i ricercatori) vengono bloccati dalla manovra economica. A Cassino, a Lettere e a Ingegneria dal 15 giugno sono sospesi esami e tesi. «Si fa eccezione per gli studenti Erasmus o per chi rischia di perdere la borsa di studio – dice Giancarlo Schirru, ricercatore di Linguistica – Vogliamo capire cosa andrà la conversione in legge del decreto». Adesioni sono arrivate da Napoli e dal Sannio. La saldatura dello scontento, per una ragione o per l´altra, trasversale alle tre figure della docenza fa prevedere un autunno complicato negli atenei. A Pisa, tre facoltà hanno votato mozioni per il blocco della programmazione didattica e Scienze minaccia uno stop alle immatricolazioni in alcune lauree. C´è poi la rabbia dei docenti a contratto, precari reclutati anche a costo zero, per insegnare in facoltà e tenere esami. Sono gli invisibili degli organici accademici, cattedre che non sfuggono, neppure loro, ai tagli della manovra.
da La Repubblica
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«Università, i prof con i ricercatori “Senza di loro, andiamo a bagno”», di Michele Bompani
«SENZA i ricercatori andiamo a bagno: alla facoltà di Economia rischiano di saltare circa venti insegnamenti, nel prossimo anno accademico», il preside Pier Maria Ferrando non fa giri di parole. Anche i professori ordinari e associati della facoltà si uniscono alla protesta dei ricercatori, compatti. E contribuiscono a rendere grigio l´orizzonte dell´Università di Genova. Problemi analoghi si stanno profilando soprattutto a Ingegneria, Architettura, Scienze della Formazione, il cui preside, Guido Amoretti, ha già annunciato come siano a rischio quasi tutte le immatricolazioni, eccetto un corso di laurea.
Il consiglio di Facoltà di Economia, giovedì, ha messo nero su bianco, in un documento approvato all´unanimità, la prospettiva e «denuncia il rischio evidente di vedersi costretto a impoverire, per il prossimo anno accademico 2010-2011, la consueta offerta formativa». «Gli insegnamenti a rischio sono distribuiti a macchia di leopardo tra le lauree triennali e magistrali – spiega Ferrando – tra cui materie fondamentali e obbligatorie nei primi anni, come Economia, Ingegneria, Statistica. Ma non voglio drammatizzare, la situazione è in evoluzione e auspico che il governo e il parlamento possano determinare il rientro della protesta, assolutamente condivisa, dei ricercatori».
La facoltà di Architettura ha lanciato i bandi interni per gli insegnamenti e solo a fine mese si comincerà ad avere un quadro più preciso dei corsi mancanti: «Da noi, potrebbero saltare una trentina di corsi – dice il preside Stefano Musso – ma adesso è prematuro fare previsioni, la situazione è fluida, il parlamento potrebbe cambiare le cose, anche se la protesta è condivisa da tutta la facoltà. Tutti i nostri trentadue ricercatori aderiscono alla mobilitazione, i professori hanno espresso loro solidarietà e non assumeranno incarichi lasciati liberi da loro».
da Repubblica/Genova del 19-06-2010