L’Italia non si mobilita più. Sembrano passati secoli da quando i cittadini italiani non lesinavano la propria presenza, la propria partecipazione, si mobilitavano.
Su tutto, si prendeva posizione. Appena si evidenziava qualche problema, sia da destra che da sinistra, migliaia di elettori rispondevano all’appello dei propri leader per manifestare contro Berlusconi o contro Prodi, contro le inopportune tasse dell’uno o contro le disdicevoli legge ad personam dell’altro. Girotondi, rumorose assemblee, piazze navona invase dai manifestanti, in campo contro la guerra in Iraq, in campo a favore degli Usa, in sciopero contro i tagli alle pensioni, massicce risposte agli appelli di Cofferati o di Epifani.
Un tempo che pare lontano, ormai, nel ricordo selettivo che di questi tempi ci giunge al cervello: si torna con la memoria ad eventi che oggi non paiono più nelle corde dei nostri concittadini. Poco sembra smuovere la gente dalla loro scolorita accettazione dell’esistente. Gli italiani paiono una costante citazione di Hegel: ciò che è reale è razionale, quello che sta accadendo non può che essere l’unica cosa che può accadere, senza se e senza ma.
Qualcosa di nuovo si mostra nel cervello degli elettori italiani. Due cose in particolare: apatia e insofferenza. Se interrogati, essi ben sintetizzano con questi due concetti il particolare momento storico che stanno vivendo. Un’indifferenza sempre più diffusa, in settori sempre più numerosi della nostra società, nei confronti della politica e delle faccende politiche, che sembrano scorrere in fiumi che non lambiscono i luoghi dove si vive. Si fanno leggi buone o cattive, giuste o sbagliate, inique od opportune. Ma di tutto questo non rimane traccia nella reazione dei nostri concittadini, che dichiarano il proprio distacco da qualsiasi forma di lotta o di presenza sul palcoscenico della politica. Tanto le cose non cambieranno – si pensa sempre più spesso – e pochi sono disposti ad un coinvolgimento più attivo, manifestando la propria alterità per le cose che avvengono.
E poi: da qualche tempo cresce un’alterità sempre più pronunciata nei confronti dei politici e del loro modo di affrontare le vicende legate alla cosa pubblica. Già i segnali di disaffezione sono stati evidenti nella partecipazione elettorale. Nelle attuali dichiarazioni di voto, che vengono quotidianamente presentate nelle trasmissioni televisive e sui giornali, una quota sempre più rilevante, che galleggia ormai da mesi intorno al 40 per cento, sottolinea tranquillamente che oggi non andrebbe a votare, disgustato da tutti i partiti sia di governo che di opposizione.
I pesanti segnali di crisi economica sono chiaramente recepiti da quasi tutti gli italiani, i quali pensano che presto anche da noi si faranno sentire in maniera non lieve, se qualcuno non ci mette una pezza in tempi molto rapidi. E i casi di corruzione, di malaffare, di possibile nuova Tangentopoli nostrana, lasciano segni indelebili di progressivo calo di fiducia in tutti gli uomini politici. Non è più soltanto una “casta”: oggi sono giudicati incapaci, o corrotti, o arroganti. Insomma: gli italiani stanno a guardare una situazione che appare loro più irritante. E la giudicano con cognizione di causa.
Il progressivo disamore di fronte a questa politica e a questi politici nostrani sarà anche un segnale di qualunquismo, forse, unito però alla percezione che, oltre la permanente conflittualità tra le forze politiche (vera o presunta che sia), si annidi poco di differente nella loro capacità di affrontare i nodi problematici di questo primo scorcio di millennio.
Gli elettori, o meglio i possibili elettori, sono oggi convinti che nessuno dei maggiori partiti (né al governo né all’opposizione) possieda ricette che sappiano, non certo risolvere, ma nemmeno affrontare con politiche economiche e sociali risolute gli snodi cruciali di questa attuale trasformazione storica. Le dichiarazioni di distacco e di indifferenza tendono dunque a divenire un umore costante. Nessuna mobilitazione, nessuna fiducia nelle forze oggi all’opposizione, crescente sfiducia anche in quelle di governo. Un quadro sconfortante destinato a protrarsi a lungo nel tempo.
da Europa quotidiano 17.06.10