A voler interpretare i segni che promanano dal «corpo mistico del re» secondo i moderni canoni fisio-politici codificati dal berlusconismo, quella di ieri si può considerare una giornata di svolta. Oppresso dalla cappa di «tagli e bavagli» che il suo stesso governo ha imposto a se stesso e al Paese, il presidente del Consiglio è stato costretto suo malgrado ad annunciare una probabile marcia indietro sui due fronti più esposti e rischiosi di questa fase della legislatura: la manovra economica e, soprattutto, il ddl sulle intercettazioni.
Non deve ingannare l´ennesimo «falso ideologico» sollevato dal premier per giustificare l´ultima, e forse la più intollerabile delle leggi-vergogna: «Siamo tutti spiati», ha ripetuto come un disco rotto, replicando un calcolo volutamente artefatto: «I telefoni controllati sono 150mila: considerando 50 persone per ogni telefono, vengono fuori così 7 milioni e mezzo di persone che possono essere ascoltate. Questa non è vera democrazia…». Le rituali menzogne, spacciate come verità sul mercato della paura, ma palesemente smentite dai dati dello stesso ministero della Giustizia. In Italia i «bersagli intercettati» sono in realtà 132.384, laddove per «bersaglio» si intende un singolo che dispone in media di 5,3 utenze telefoniche (tra telefono fisso, cellulare personale, cellulare aziendale e utenze di parenti).
Dunque, se si dividono i 132.384 «bersagli» per 5,3 utenze viene fuori che le persone effettivamente intercettate sono 26 mila, cioè lo 0,045% dell´intera popolazione nazionale. Altro che 7 milioni e mezzo.
Ma stavolta quello che conta sottolineare non è tanto l´ennesima menzogna di Berlusconi. Stavolta, nel suo intervento davanti alla sempre plaudente assemblea della Confcommercio, c´è qualcosa di nuovo e di diverso, che merita di essere sottolineato. C´era un tono di vaga rassegnazione, nelle parole con le quali Berlusconi ha esposto il complicato scenario che si profila nell´iter della legge-bavaglio: «Noi abbiamo preparato il provvedimento in quattro mesi, ma ora si parla di metterlo in calendario per il mese di settembre, poi bisognerà vedere se il Capo dello Stato lo firmerà e poi quando uscirà ai pm della sinistra non piacerà e si appelleranno alla Consulta che, secondo quanto mi dicono, lo boccerà…».
In questo «periodo ipotetico» non c´è solo la rappresentazione dei consueti svarioni di sintassi costituzionale: il Parlamento come un orpello inutile, la presidenza della Repubblica come un intralcio fastidioso, la magistratura e i giudici come nemici irriducibili. C´è anche il riconoscimento di un errore di grammatica politica: il centrodestra rischia di non reggere l´urto di un testo come quello sulle intercettazioni, contro il quale si concentrerà presto l´attenzione degli organi di garanzia della Repubblica, e nel frattempo si sta già concentrando un pericoloso fuoco incrociato: quello interno che cova dentro la maggioranza, e quello esterno che monta presso l´opinione pubblica. Dunque, meglio fare un passo indietro, e accogliere le richieste di modifica a un provvedimento che ormai persino gli organismi internazionali considerano una minaccia per le indagini giudiziarie e una lesione dei diritti dei cittadini. Le notizie fatte filtrare in serata da Palazzo Grazioli sembrano confermare questa disponibilità al confronto.
Vedremo nelle prossime ore se si tratta di una ritirata strategica, o invece solo di una mossa tattica. Quando mostra di arretrare, spesso il Cavaliere prepara una controffensiva, magari su terreni e con arsenali diversi. Ma in questo caso il sentiero è per lui oggettivamente assai stretto. Sulla manovra da 25 miliardi c´è il nervo scoperto di Bossi: è difficile reggere il nervosismo della Lega, che vive con crescente disagio la crociata dei governatori, a partire proprio dal lombardo Formigoni, contro «i tagli agli enti locali che uccidono il federalismo»: la gente, compresa quella del Nord, comincia a sospettare che sia vero, e questo spiega le aperture del Senatur alle correzioni richieste dalle regioni.
Sulla legge-bavaglio la morsa intorno al premier è ancora più stretta. C´è la dottrina: è difficile non ascoltare gli allarmi sui vizi di legittimità sollevati da fior di costituzionalisti. Ci sono le istituzioni: è altrettanto difficile non immaginare che queste correnti di pensiero siano ignorate da Giorgio Napolitano (che sarà chiamato nelle prossime settimane a promulgare quel provvedimento) e dalla Consulta (che sarà chiamata nei mesi successivi a valutarne la costituzionalità). C´è Gianfranco Fini: è impossibile non vedere che la «corrente» del presidente della Camera, dentro il Pdl, si sta riorganizzando in vista del dibattito a Montecitorio e che, forte del ruolo istituzionale di Giulia Bongiorno, ha i numeri per impallinare quel testo almeno in Commissione giustizia, grazie anche all´opposizione (finalmente ferma e trasversale) sollevata dal Pd insieme a Udc e Idv.
E poi c´è l´opinione pubblica. Il successo della campagna di questo giornale sui post-it, la straordinaria partecipazione della rete e del popolo viola, le iniziative di protesta annunciate dalla Federazione nazionale della stampa: la diffusa mobilitazione di queste settimane dimostra che quella contro la legge-bavaglio non è solo una battaglia per la legalità, che pone un serio problema di coerenza ad un centrodestra tutto chiacchiere e distintivo, capace solo di predicare “legge e ordine” salvo poi praticare la destrutturazione sistemica dei codici e della Costituzione. Ma conferma che questa è anche una battaglia per la libertà, che pone un problema ancora più gigantesco per la qualità della nostra democrazia, in cui il diritto dei giornali di informare e il diritto dei cittadini di essere informati non può essere disgiunto dal dovere di chi governa di «rendere conto» al popolo che non è chiamato solo a votare, ma anche a pensare.
Ecco perché questa legge, così com´è stata concepita, non può passare. La democrazia è limite. E con questo provvedimento quel limite è drammaticamente valicato. Tanti italiani lo hanno capito. E sarebbero ancora di più se tutti i giornali combattessero senza riserve e senza furbizie questa battaglia. In un testo pubblicato sull´«Encyclopedia Americana» un secolo fa Joseph Pulitzer scriveva: «Un´opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l´indifferenza popolare o gli errori del governo…». È la grande “lezione” di uno dei padri del giornalismo occidentale. C´è ancora tempo perché tutta la grande stampa, senza eccezioni, la spieghi anche a Silvio Berlusconi.
La Repubblica 17.06.10