Sembra che l’Italia stia facendo di tutto per spostare le lancette dell’orologio indietro di una quarantina d’anni. E così ci troviamo di slancio in un’epoca precedente al 1970, quando un Parlamento incalzato dai sindacati fu portato ad approvare lo Statuto dei lavoratori. Ma non ci basta, no: rischiamo di scivolare ancora più indietro, quando durante un altro Ventennio, il codice penale considerava lo sciopero come un reato, come un crimine verso l’azienda e verso il Paese.
Con l’avvento della Repubblica democratica fondata sul lavoro, i Costituenti si resero conto che, «se è vero che lo Stato è chiamato a tutelare il lavoro, con ciò non si esclude che anche la classe lavoratrice possa tutelare essa pure direttamente il lavoro» (Ghidini). Tutti i Costituenti, e non solo quelli che militavano nel Pci, ritennero «urgente ed indispensabile che una legge» riconoscesse «il diritto di sciopero dei lavoratori, abrogando i divieti fascisti in materia» (Fanfani) e vollero affermare come diritto «quello che il fascismo definiva a torto delitto» (Merlin). Perché il diritto di sciopero «non è altro che la logica derivazione del diritto alla legittima difesa, non è che una triste necessaria conseguenza di un rapporto di forza (…) fra capitale e lavoro» (Taviani). Era questo il clima in cui fu approvato l’art. 40 della Costituzione.
Ora siamo nel 2010 e la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori sono diventate figure mitologiche rimpiante con nostalgia da qualche romantico isolato. Annuncio dopo annuncio, proclama dopo proclama, di quelle conquiste rischiamo che non rimanga più neanche il ricordo. Così, assistiamo increduli alla nuova stagione ricostituente che si sta consumando a Pomigliano: dopo l’attacco (retorico) della scorsa settimana all’articolo 41 della Costituzione italiana, ora dobbiamo registrare l’attacco (effettivo) all’articolo 40. Un articolo al giorno leva la Costituzione di torno.
Un invito alla responsabilità è stato rivolto dall’azienda ai lavoratori. E i lavoratori della Fiat questo caloroso appello l’hanno raccolto e hanno accettato una profonda riorganizzazione e l’intensificazione dei turni di lavoro, compreso il sabato notte. Ma, anche in questo caso, non bastava: ci voleva anche la compressione del diritto di sciopero.
Tutto all’insegna della modernizzazione e della produttività, ovviamente. E di una riforma dello Statuto dei lavoratori, che forse in futuro non sarà nemmeno necessaria: perché dello Statuto e degli opportuni riferimenti costituzionali si può anche fare a meno. A Pomigliano e nel resto del Paese.
L’Unità 14.06.10