È istruttivo il dibattito scaturito dalla proposta del Pd – contenuta in un documento più articolato – di anticipare l’età del pensionamento per i professori universitari a 65 anni. Tutti gli interessati, al momento, appaiono contrari, da ultimo sull’Unità Michele Ciliberto. In fondo, perché dovremmo aspettarci qualcosa di diverso da chi porta la responsabilità collettiva della gestione dell’università italiana, scomparsa dalle graduatorie internazionali, con la più alta età media dei docenti d’Europa, un sistema che spinge migliaia (migliaia) di studiosi a cercare lavoro all’estero senza avere la capacita di attrarre praticamente nessuno studioso da altri paesi?
A parte i soliti politici, utilissimi capri espiatori, sarebbe ora che anche i rappresentanti autorevoli di altre classi dirigenti italiane iniziassero a riconoscere le proprie responsabilità collettive per i destini dell’istituzione di cui fanno parte, e iniziare da esse a svolgere il proprio ragionamento. Invece, i contrari alla proposta – che non ho fatto io e quindi non sta a me difendere nella sua completezza – tipicamente non discutono nel merito, ma parlano d’altro. Ciliberto si lamenta dell’assenza di una riflessione articolata sulle cause della sperequazione intergenerazionale che caratterizza l’Italia. Purtroppo si è documentato male, perché esiste una piccola, ma precisa, letteratura che spiega le ragioni politiche ed economiche che hanno condotto la sua generazione a scaricare sulle successive i debiti economici contratti quando erano giovani, e i cambiamenti organizzativi necessari a fronteggiare la globalizzazione.
Si tratta un gigantesco problema distributivo e di equità, che Ciliberto sostanzialmente nega, che accomuna tutte le classi sociali inasprendo differenze socio-economiche di altra natura e cancellando qualsiasi speranza di mobilità sociale. Secondo me sarebbe necessaria maggiore prudenza specialmente da chi – professore ordinario in una delle principali università italiane – oggettivamente condivide la responsabilità per la situazione in cui si trova l’Italia di oggi, e in cui si trova la sua università. Ciliberto è contrario alla proposta di pensione a 65 anni perché «è la “tradizione” che ci tiene nella storia, e … questo vale anche – e soprattutto – per l’ Università».
Questa argomentazione è la tesi regina di tutti i conservatorismi: la tutela di tradizioni di cui gli anziani sono vestali. Si tratta di una espressione impossibile da confutare perché si tratta di un atto di fede: potrebbe dirsi specularmente che è il cambiamento a tenerci nella storia. Ma si tratta in entrambi i casi di giaculatorie inutili, buone solo a offuscare la possibilità di un ragionamento trasparente. Nella università dove insegno attualmente, forse la principale istituzione europea di politica ed economia, tutti vanno in pensione a 65 anni. Questo non significa perdere alcun patrimonio. I professori emeriti per davvero, che non solo tali in virtù dell’esercizio di un vuoto potere accademico, ma in virtù del loro contributo intellettuale, ricevono naturalmente richieste di continuare a insegnare le loro materie, “a contratto”.
Inoltre, per chi ami davvero il lavoro di ricerca e insegnamento, è un sollievo essere dispensati da noiosi senati accademici, consigli di facoltà e commissioni di concorso. La ratio di questa norma non ha nulla di “punitivo”, semplicemente si ritiene che a occuparsi del futuro – ossia assunzioni, programmazione, amministrazione – è bene che siano persone con una maggiore prospettiva davanti. In media, diciamo, persone tra i 40 e i 65 anni, non certo dei ragazzini. Il secondo punto che non si può ignorare è che la situazione dell’università italiana è da disastro epocale, ed è una delle fonti primarie del declino italiano degli ultimi vent’anni. Non solo migliaia e migliaia di italiani vanno a studiare altrove, non solo le università straniere sono piene di studiosi eccellenti che non riceverebbero da noi nemmeno una borsa di collaborazione, ma l’università ha perso ogni traccia di rispetto sociale.
È affondata nella gestione feudale che nel migliore dei casi produce studiosi conformisti, nel peggiore produce documentati nepotismi, intere facoltà di proprietà di clan familiari. Negare la necessità di uno shock nella situazione data, equivale a negare la sua gravità estrema. La sostanza è che la principale controindicazione ad anticipare la pensione a 65 anni è un comprensibile amore per il potere di chi lo detiene e lo perderebbe. L’autorevolezza, invece, non si acquisisce con la prepotenza e la formalità di un titolo, e non teme la pensione.
L’Unità 12.06.10