Anche se alla Camera l’opposizione annuncia una battaglia che sfocerà probabilmente nell’ostruzionismo, l’accordo siglato ieri al vertice del Pdl ha due obiettivi chiarissimi, uno di sostanza e uno politico. Il primo è l’approvazione in tempi brevi, costi quel che costi, anche uno scontro parlamentare con l’ostruzionismo che una parte dell’opposizione ha già annunciato, della brutta legge sulle intercettazioni. Un testo, va detto, rimasto praticamente quasi com’era, con i limiti alle indagini dei magistrati e la censura ai giornali, alle tv e ai loro editori sui contenuti dei verbali.
Com’era prevedibile, e largamente annunciato – malgrado la rottura del 22 aprile, quando Berlusconi e Fini si erano presi pubblicamente a pesci in faccia -, i due cofondatori hanno ritrovato l’intesa, al punto che il capo della minoranza interna, fin qui molto battagliera, del partito del presidente, s’è accontentato di qualche limatura, come quella che sposta da 48 a 72 ore il termine per la proroga delle intercettazioni dopo i 75 giorni previsti come tempo massimo. E di un gioco delle parti con il premier, degno di quel «teatrino della politica» che il Cavaliere dice ogni giorno di aborrire.
Al termine dei lavori, sbrigati nello spazio di una mattinata, Berlusconi infatti s’è astenuto, unico in tutto il sinedrio dei dirigenti del centrodestra, per testimoniare la sua insoddisfazione sul compromesso finale. E poco dopo, davanti all’assemblea degli albergatori italiani, ha ripetuto il solito ritornello del presidente del Consiglio che in Italia non ha alcun potere, dell’impossibilità di fare una legge come si deve, attraversando i mille passaggi previsti dalla Costituzione proprio per limitare il potere del premier, e di un Paese governato in realtà dalla magistratura di sinistra e dalla lobby dei giornalisti. Si fingeva, insomma, insoddisfatto, mentre in cuor suo gongolava per aver portato a casa la posta a cui aveva puntato fin dall’inizio.
Allo stesso modo, e quasi contemporaneamente, Fini recitava la parte del vincitore. In una dichiarazione seguita alla conclusione della riunione del Pdl, il presidente della Camera, fino a ieri l’avversario più risoluto del Cavaliere, gli dava atto della sua disponibilità alla resa, ricordandogli come, con gesto responsabile, pur non avendo rispettato fino in fondo le promesse fatte ai suoi elettori, fosse riuscito a mantenere l’impegno più importante: quello «in materia di lotta alla criminalità e di difesa della legalità».
La messa in scena tra i due leader tornati alleati rimane l’unica vera novità politica della giornata. Se sono arrivati al punto da concordare un copione così preciso, in cui il vincitore recita la parte dello sconfitto e viceversa, allora è vero che il lavoro diplomatico seguito alla crisi di un mese e mezzo fa ha dato i suoi frutti. Da oggi in poi Berlusconi sa che dovrà assicurare a Fini tutta la visibilità di cui ha bisogno, senza tante storie di lesa maestà. E Fini, al dunque, lo ripagherà riportando all’ordine le sue truppe più riottose. Il centrodestra, nel suo insieme, ha davanti altri tre anni di legislatura al potere, e non vuol certo giocarseli perché qualche anima bella della sinistra vagheggia governi tecnici o istituzionali, pur di far fuori Berlusconi. Il quale ieri, tra l’altro, a riprova della sua effettiva contentezza per il risultato della partita, è arrivato perfino a scherzare sull’eventualità che anche con le limitazioni introdotte i giudici possano ancora divertirsi a registrare le conversazioni con le fidanzate.
Purtroppo ormai, al di là del modo in cui ci si arriverà, visto il vento di tempesta che già spira a Montecitorio, la legge-bavaglio s’annuncia come realtà. I cambiamenti decisi ieri e già presentati come emendamenti al Senato, in modo che alla Camera giunga un testo definitivo, se del caso da approvare a colpi di fiducia, non sono in grado di rendere più accettabile una riforma gravida di serie conseguenze. Va ricordato: per la prima volta, malgrado la volontà ripetutamente dichiarata di lotta sempre più dura contro la criminalità, si riducono i mezzi posti a disposizione della magistratura e delle forze dell’ordine per praticarla. La limatura imposta ai limiti per le intercettazioni ambientali, così come a quelli per la ricusazione dei giudici, unita al risibile allungamento temporale di sole 24 ore per le registrazioni, non sono tali da mutare la sostanza di una legge sbagliata e malfatta. Che ci sia stato in passato qualche eccesso nel modo di intercettare è evidente. Ma è altrettanto sicuro che la malattia, se di questo veramente si trattava, non meritasse una tale cura da cavallo.
La Stampa 09.06.10