L’ultimo attacco al mondo del lavoro colpisce uno dei fronti più delicati: la sicurezza. In nome della «semplificazione» l’articolo sette del ddl Brunetta-Calderoli, votato a Montecitorio, interviene sull’obbligo di denunciare gli infortuni alla magistratura. Ad oggi le imprese sono costrette dalla legge a segnalare all’autorità di pubblica sicurezza gli incidenti che costringono il lavoratore a letto o in ospedale per più di tre giorni.
LA DENUNCIA Con la nuova norma i datori di lavoro sono esentati dall’onere della denuncia se l’infortunio tiene il dipendente a casa per meno di 15 giorni. In questo caso, ad essere informato sarà solo l’Inail, che poi dovrà comunicare il fatto alla Direzione provinciale del lavoro. Inizialmente il testo prevedeva l’obbligo di avvertire i magistrati solo per gli incidenti che rendevano inabile il dipendente almeno per trenta giorni. Poi in commissione si è scesi a 15.Unrisultato che non lascia soddisfatto né il partito Democratico – che ha espresso voto contrario – né la Cgil. Sia il Pd sia il sindacato di Corso Italia licenziano l’articolo sette del ddl Brunetta- Calderoli come l’ultimo affondo contro i diritti dei lavoratori su infortuni e malattie. La polemica è divampata anche fuori dalla Commissione, con il ministro Calderoli che ha attaccato opposizione e rappresentanti dei lavoratori. «Non sanno di che parlano – ha detto – così si riducono inutili oneri burocratici per le imprese». La risposta a stretto giro è arrivata dall’ex ministro Cesare Damiano. «Non basta ridurre da trenta a 15 i giorni di inabilità del dipendente per i quali l’impresa è costretta a presentare la denuncia. Resta comunque una norma che peggiora le condizioni e la tutela della salute dei lavoratori».
ATTACCO ALLA SICUREZZA Il perché di tanta opposizione è giustificato in primo luogo dal fatto che si toglie alla magistratura la possibilità di indagare sugli infortuni e sulle condizioni degli ambienti di lavoro che li determinano. Viene meno cioè uno strumento fondamentale per la tutela della sicurezza, già appesantita dai tagli della manovra e dalle scarse risorse destinate ai controlli degli ispettori. «Con la scusa di semplificare – ha detto per la Cgil Sebastiano Calleri, del coordinamento nazionale Salute e sicurezza – impoveriscono l’attenzione e la vigilanza sui luoghi di lavoro». Un processo lento ma continuo: solo l’anno scorso in tema di sicurezza il governo ha cambiato 136 articoli sui 306 del Testo Unico del governo Prodi. Ieri, riprende Damiano, «la commissione ha votato anche l’articolo 7 ter, che abroga il registro degli infortuni delle imprese e non lo sostituisce con nulla. È gravissimo – continua l’esponente Pd – Noi avevamo deciso di eliminare il registro in favore di una banca dati informatica. Loro lo cancellano». Alle tante modifiche in tema di lavoro il governo ne ha aggiunta un’altra con la manovra Finanziaria: poche parole nascoste nell’articolo otto per eliminare l’obbligo della valutazione dei rischi nella pubblica amministrazione. Dalle scuole ai ministeri, fino agli ospedali. E chissà che l’esenzione non arrivi anche nel privato, si domanda ironico ma preoccupato qualche sindacalista. Per avere un’idea dell’importanza di temi come sicurezza e prevenzione basta leggere le cronache locali di tutti i giorni. Solo ieri si sono registrati due incidenti mortali sul lavoro, più il decesso di un terzo operaio rimasto ferito giovedì in una cava. Le ultime due vittime sono entrambe sarde. Si tratta di un operaio dell’Anas e di un agricoltore. Il primo travolto su una statale dal mezzo guidato da un collega, il secondo finito sotto un camion.
L’Unità 09.06.10
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Ispesl occupato: «Senza di noi chi farà i controlli negli impianti?», di Laura Matteucci
«Ogni giorno si piangono morti e feriti, si invoca la sicurezza sul lavoro, e poi smantellano l’unico ente che proprio sulla sicurezza fa ricerca, formazione, e che organizza i controlli sul territorio. Dovrebbero potenziarlo, altro che chiuderlo. C’è bisogno di soldi? Tutti sanno che per ridurre la spesa pubblica non servono i tagli con l’accetta, ma un serio sistema di indirizzo e controllo». Valentina Meloni è una dei circa 500 precari dell’Ispesl, l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, che la manovra di Tremonti vuole sciogliere nell’Inail. Ha 29 anni, un contratto a progetto da mille e 50 euro al mese rinnovato da sei anni ogni sei mesi, anche se il progetto di ricerca è sempre lo stesso: la pianta organica dell’Ispels prevede 1400 persone, ma in realtà gli assunti sono 800 perché non si indicono concorsi dal 2002 pur avendo l’autorizzazione per farli, e a coprire i vuoti ecco pronta la folla di co.co.co. L’accorpamento all’Inail, altro istituto in cui si prevedono tagli al personale, potrebbe significare restare a casa. Loro non ci stanno, continuano ad occupare l’ente perché il Parlamento ingrani la marcia indietro. E hanno molte ragioni da far valere.
LE RAGIONI PER NON CHIUDERE L’Italia investe in ricerca e sviluppo meno dell’1% del pil, ben lontano dal 3% deciso da Lisbona. L’Ispesl, commissariato da 2 anni dalla stessa persona che l’ha presieduto per i 30 precedenti, Antonio Moccaldi, sopravvive con 57 milioni di stanziamento statale e 37 di autofinanziamento che arriva dalle varie attività di servizio. A conti fatti (non da Tremonti, che non ha fornito alcuna cifra, ma dalla Cgil), il risparmio dato dalla soppressione sarebbe di alcune migliaia di euro. Mentre, sempre a stare sulle nude cifre, tra mancati prevenzione e controlli, l’assenza di sicurezza costa allo Stato il3%del pil ogni anno, considerando le ricadute sul servizio sanitario e sugli assegni di invalidità. «Se lasciano a casa i precari – dice Valentina – chi controllerà impianti e attrezzature nei luoghi di lavoro, chi lavorerà nei 37 dipartimenti territoriali? E chi farà ricerca sulle malattie invalidanti? L’Ispesl è autonomo, ente terzo rispetto agli interessi sia delle imprese sia delle parti sociali, e l’autonomia nella ricerca è una valore da salvaguardare ». Senza contare che l’istituto rientra già in un piano di riordino degli enti statali voluto dal governo, piano che adesso viene bypassato all’improvviso. «Un conto è razionalizzare, un altro cancellare con un tratto di penna – dice Gabriele Giannini, responsabile ricerca per la Cgil – Per questo governo ricerca e cultura sono d’impaccio». E Paola Agnello Modica, segretaria confederale Cgil, ricorda che «la sicurezza è già depotenziata dal Testo Unico ». «Eppure, oltre alle morti bianche, ci sono migliaia di infortuni che non vengono nemmeno denunciati come tali, perché il datore di lavoro spesso “invita” a farli passare come incidenti domestici o stradali, il che peraltro significa scaricarne i costi sulla collettività»
L’Unità 09.06.10
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