Se i tagli ai costi della politica sono “immagine”, le tasse – come sempre – sono la sostanza della manovra. E a maggior ragione nel decreto legge messo in campo per evitare quel rischio Grecia paventato, a poche ore dal varo del testo, da Gianni Letta con inusuale – eppur voluto – linguaggio allarmista.
Ma di tasse, di aumento delle tasse, nella manovra non si parla. Anzi, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, ha escluso più volte ogni ritocco d’imposta all’insù, nel paese che già ora è tra i primatisti della pressione fiscale in Europa e dove il fardello della tassazione pesa – in media – molto di più sui contribuenti fedeli e onesti.
È molto probabile che se ne parli in futuro, però. E non solo per l’ambiziosa battaglia contro l’evasione che dovrebbe portare nelle casse pubbliche oltre 20 miliardi in tre anni (sui 120 che ogni 12 mesi vengono tenuti all’oscuro dell’agenzia delle Entrate), obiettivo tanto audace quanto la svolta politica del centro destra verso i “furbi”.
Ma il tema delle tasse terrà banco – e molto – anche a causa dell’impatto fiscale prodotto dalla manovra sulle autonomie locali, comuni e regioni in particolare: i tagli nei trasferimenti ai sindaci sono di 1,5 miliardi nel primo anno e di 4 nel corso del biennio 2011-2012.
Non a caso Sergio Chiamparino – presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni – e Vasco Errani – presidente della conferenza dei presidenti delle regioni – hanno già fatto la voce grossa, minacciato disobbedienze più o meno civili: il governo – dicono – fa annunci graditi alla Robin Hood e lascia a noi la faccia feroce e impopolare da esattori di Sherwood.
È evidente che le minori entrate nelle casse locali porteranno o a diminuzioni nel l’erogazione dei servizi (o ad abbassamenti degli standard di qualità) o a un aumento delle imposte locali attraverso i ritocchi delle addizionali Irpef e Irap.
Il blocco degli aumenti per il fisco locale resterà valido per tutto il prossimo anno, ma dal 2012 – non serve la palla di vetro – comuni e regioni punteranno ben presto al recupero del gettito perso.
Nel frattempo è probabile che il prelievo sui contribuenti assuma il volto ambiguo dell’aumento delle tariffe cittadine. Le autostrade hanno già dato la sveglia: il sovracanone da pagare in più all’Anas avrà un riflesso inevitabile sui costi finali del servizio: in sostanza, pedaggi più salati.
È il ragionamento che, alla fine, faranno anche sindaci e governatori alle prese con le pressioni delle diverse lobby interne ed esterne (dai dipendenti alle società concessionarie, dai fornitori ai dirigenti): la coperta è già corta, tagliare è difficile, meglio aumentare le entrate con la revisione dei prezzi dei servizi erogati. Asili, mense, raccolta rifiuti.
In un paese che ha problemi di domanda interna, dove i consumi ristagnano in attesa di ritrovare la fiducia e le ragioni dell’ottimismo, qualsiasi azione che comporti maggiori esborsi servirà solo a “schiantare il cavallo”. E, quindi, a ottenere l’effetto opposto di una manovra allestita per evitare di diventare un paese ibernato e in declino.
La sfida per gli amministratori locali è un’altra: vincere la battaglia contro gli sprechi. Ce ne sono ancora moltissimi nella sanità, nei servizi forniti – senza mercato e in sovrapprezzo – dalle società partecipate dagli enti locali, nella stessa gestione del personale.
E, sempre per sindaci e governatori, la scommessa è partecipare alla battaglia contro l’evasione visto anche l’aumento al 33% della parte di introiti recuperati che lo stato centrale è disposto a cedere ai comuni.
La sfida per un governo e una maggioranza che fanno del federalismo la cifra riformista della legislatura è, invece, un’altra ancora: dimostrare come le politiche di decentramento non saranno destinate a diventare solo una duplicazione di costi e clientele, ma piuttosto una vera azione di riduzione della spesa pubblica “inerte”, quella usata finora per mantenere la macchina pubblica facendola girare su se stessa senza produrre mai sviluppo vero. O peggio, per alimentare un sottogoverno oltre i limiti della legalità.
Strade impervie, certo, ma tutte migliori della scorciatoia che porta dritto alle tasse.
Il Sole 24 Ore 07.06.10