attualità, politica italiana

"La guerra di Bossi per salvare le province", di Gad Lerner

Minacciando la guerra civile in caso d´abolizione della provincia di Bergamo, quel grande statista che risponde al nome di Umberto Bossi vuole solo ricordarci cos´è per lui la politica.
O vuole ricordarci, per meglio dire, cos´è per lui l´antipolitica: rappresentanza di interessi locali, ammantata d´ideologia tradizionalista.
Ovviamente la provincia di Bergamo (più di un milione di abitanti) non corre pericolo di essere abolita; e resterà a presiederla un senatore leghista con doppio incarico e doppio stipendio. Il cumulo di poltrone non imbarazza affatto il partito di Bossi, anzi, rientra appieno nelle sue modalità di espansione. Pure a Brescia, Sondrio e Biella i presidenti di provincia leghisti sono parlamentari, eurodeputati o sottosegretari. Mentre gli altri nove (Cuneo, Varese, Como, Lodi, Treviso, Vicenza, Venezia, Belluno, Udine) cumulano volentieri ruoli da sindaco o presidenze di società autostradali e fieristiche.
Se dunque la Lega rifiuta di liquidare le province come enti inutili, ciò si deve non certo alla mitologia del “territorio”, bensì a un disegno di consolidamento delle sue burocrazie locali: una classe dirigente amministrativa che utilizza anche la presenza a Roma per restare abbarbicata alla tutela di meri interessi localistici. A prescindere da qualsivoglia visione nazionale.
Altro che federalismo, la moltiplicazione dei centri di spesa asseconda le più variegate spinte separatiste e genera sempre nuove clientele che aspirano a trarre vantaggio dalla disunità d´Italia. Sembra quasi che un preoccupante fervore egoistico autorizzi i notabili a sbizzarrirsi con la fantasia, ridisegnando la carta geografica della penisola secondo convenienza, ben oltre i confini meridionali (inventati e flessibili) della Padania. È di questi giorni la notizia che il Pdl di Benevento, escluso dalla ripartizione degli assessorati regionali campani, minaccia l´addio a Napoli per dare vita, con Campobasso, niente meno che a una nuova regione denominata Molisannio. Un´assurdità? Forse, ma incoraggiata dal crescente peso governativo di un partito che nel suo statuto, articolo 1, proclama la finalità dell´”indipendenza della Padania”.
C´è poco da scherzare su questa dissoluzione in corso dei partiti nazionali, accelerata da sempre più frequenti scissioni locali (ci sono già due Pdl in Sicilia e a Bolzano). Quando la contesa per la spartizione delle risorse pubbliche per garantirsi il consenso si avvale di pretesti folkloristici, di recriminazioni campanilistiche e di strumentali richiami alla tradizione, la tendenza centrifuga rischia di farsi inarrestabile. Ma soprattutto è il contesto di crisi dell´Unione europea a preannunciare effetti dirompenti. Si illude chi scommette che il ritorno alla stagione dei nazionalismi conduca al ripristino della sovranità degli Stati pre-esistenti. La sofferenza dei governi costretti dall´Ue a manovre di stabilità di bilancio impopolari, rischia al contrario di farli soggiacere o travolgere dalle spinte dell´antipolitica e delle piccole patrie.
Sul vecchio continente soffia un vento sinistro di frantumazione, di cui il leghismo italiano rappresenta solo un episodio. La crisi del governo Leterme, in Belgio, rischia di sancire l´irreparabilità della frattura tra i partiti fiamminghi e francofoni che ormai ipotizzano apertamente una separazione statuale. Mentre la destra vittoriosa nelle recenti elezioni in Ungheria riaccende le controversie territoriali con i paesi limitrofi, decidendo di assegnare il passaporto di Budapest alle minoranze magiare che vivono oltreconfine. La reazione della Slovacchia (un paese, non dimentichiamolo, nato da una recente secessione dalla Cecoslovacchia) rischia di essere altrettanto minacciosa, dando luogo a una vera e propria guerra dei passaporti. Non conforta sapere che gli estremisti Jobbik, forti del 18% dei consensi, pretendano di partecipare alle sedute del Parlamento ungherese indossando la divisa della loro Guardia nazionale disciolta in quanto milizia para-militare. Il monito della tragedia dei Balcani risuona inascoltato in un´Europa percorsa da tensioni xenofobe, miraggi separatisti, pseudo-irredentismi, miti reazionari.
Il cemento delle nazioni, reso friabile dalla loro mancata unione politica, ora è sottoposto alle scosse monetarie. Sui mercati c´è chi specula preconizzando che l´euro non sopravvivrà alla tentazione tedesca di ripristinare un´area di moneta forte, autonoma dai paesi abituati a sopravvivere con le svalutazioni. È chiara a tutti la spaccatura che questo scenario determinerebbe fra Italia settentrionale e Italia meridionale.
Berlusconi addebita ai vincoli imposti dall´Unione europea – per l´ennesima volta additata agli italiani come “nemico esterno” – una manovra resa obbligatoria dal nostro enorme debito pubblico. Bossi impone al governo la salvaguardia delle sue casematte di potere sul territorio, confidando di rafforzarle con il federalismo fiscale. I partiti nazionali vengono soppiantati da amministratori che fondano sul localismo il loro consenso. Ma in tutto ciò è l´idea della politica come governo armonico degli interessi e degli squilibri a venire meno. Il centocinquantesimo anniversario dell´Unità d´Italia rischia di essere celebrato in un clima di dissoluzione nazionale. Più che una classe dirigente, la destra al governo sta coltivando una generazione di potentati rivali, non così dissimili dagli staterelli preunitari.

La Repubblica 28.05.10

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