In Italia il tasso di disoccupazione è più basso di quello medio europeo, un dato che fa dire ai nostri governanti che il nostro paese sta fronteggiando la crisi meglio degli altri. Ma il tasso di inattività, specie tra le donne è molto più alto. Ed ha ricominciato ad aumentare negli ultimi anni, soprattutto al Sud e tra quelle a bassa qualifica. È l´inattività, esito spesso di scoraggiamento, a contenere nel nostro paese la disoccupazione e a spiegare l´apparente paradosso per cui la disoccupazione è aumentata più al nord, dove i tassi sia di attività che di occupazione sono più alti, che al sud. Sono quindi aumentate ancora le famiglie con un solo reddito, quindi particolarmente vulnerabili alla perdita del lavoro o anche solo alla riduzione del reddito da lavoro a causa della cassa integrazione.
A leggere il Rapporto Annuale dell´Istat appena uscito, sembra proprio che sia stata la famiglia, insieme e forse più che la cassa integrazione, il grande ammortizzatore sociale. È la famiglia, infatti, che assorbe una disoccupazione che colpisce soprattutto i lavoratori nel mercato del lavoro secondario, con contratti a tempo determinato e spesso senza protezioni sociali, garantendo comunque reddito e consumo a chi ha perso lavoro. Le conseguenze più pesanti della crisi produttiva hanno investito, infatti, il lavoro atipico (dipendenti a termine e collaboratori). Si tratta in larga misura di persone che non sono il principale procacciatore di reddito nella loro famiglia: perché sono donne coniugate con un occupato a tempo indeterminato, o perché sono giovani che vivono ancora in famiglia.
Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia (25,4 per cento) è infatti più del triplo di quello totale (7,8 per cento) e più elevato di quello europeo (19,8 per cento). Si tratta di giovani che vivono per lo più ancora in famiglia. O che ci tornano quando non possono più pagare l´affitto.
Questo importante ruolo della famiglia come ammortizzatore sociale della crisi, a fronte di una perdita di lavoro che finora ne ha colpito selettivamente i componenti, ha protetto anche molte famiglie dalla caduta in povertà a seguito della crisi, anche se sono aumentate le famiglie che ritengono di non aver riserve in caso di emergenze o non riescono a pagare regolarmente le proprie bollette. In compenso, coloro che erano già in condizioni economiche disagiate prima della crisi continuano a esserlo, con decrescenti speranze di uscirvi. è l´altra faccia della funzione della famiglia come, prevalente, ammortizzatore sociale, specie per chi è più debole nel mercato del lavoro. Quando tutti i componenti della famiglia sono in condizione di debolezza sul mercato del lavoro, la famiglia non può sostituire ammortizzatori sociali mancanti.
Ma anche quando la famiglia riesce a svolgere la sua funzione di ammortizzatore sociale, la situazione appare problematica dal punto di vista della sostenibilità sociale e del futuro. In un paese in cui periodicamente si accusano i giovani di adagiarsi nel comfort familiare, una intera generazione di giovani sembra congelata in una dipendenza economica che ne vincola ogni autonomia progettuale e di vita a causa del combinarsi degli effetti di un mercato del lavoro segmentato anche su basi generazionali e di un sistema di ammortizzatori sociali che riproduce questa stessa segmentazione. Di più, questa dipendenza si acuisce in un contesto di forti disuguaglianze sociali tra giovani per nulla scalfite dalle politiche formative. Mentre i giovani laureati italiani hanno salari di ingresso molto più bassi dei loro coetanei europei ed anche forme di protezione dalla perdita del lavoro molto più ridotte, l´Italia è uno dei paesi europei in cui la percentuale di giovani tra i 18 e 29 che non è né in formazione né nel lavoro è tra le più alte in Europa, 21,2%, Detiene anche il non invidiabile primato nella percentuale di chi lascia la scuola presto, senza aver conseguito un diploma di scuola superiore, 19,2%. In entrambi i casi si tratta di giovani che non hanno trovato né nella famiglia, né nella scuola, né nel mercato del lavoro risorse e incentivi ad investire su di sé e sul proprio futuro.
Come possa una società, non solo galleggiare in attesa che passi la buriana, ma investire nel proprio futuro, affidandosi alla tenuta della solidarietà famigliare e ignorando la distruzione ed emarginazione di una parte rilevante del proprio capitale umano è una questione che andrebbe affrontata con urgenza e contestualmente alle misure anticrisi.
La Repubblica 27.05.10
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“Trentenni, senza lavoro restano con mamma e papà”, di Bianca Di Giovanni
Che Italia sarà quella che uscirà dalla crisi? Come si ricomporrà quel tessuto sociale e produttivo dissestato dalla recessione? Quale sarà il destino delle schiere di persone colpite in pieno da un crollo della ricchezza complessiva mai tanto intenso e tanto veloce? Giovani, donne e stranieri: questi gli anelli deboli. I soliti. L’ultimo rapporto Istat, scandaglia nei minimi particolari gli effetti che due anni di tsunami finanziario ed economico hanno avuto sulla società italiana, proponendo aggregati statistici inediti e in alcuni casi inquietanti. Come quei due milioni di giovani (uno su sei nella fascia tra i 15 e i29anni) che nel 2009 si ritrovavano fuori da tutto. Né scuola, né lavoro. L’analisi è impietosa e rigorosa. Mostra un’Italia «malata d’Europa » per via della bassa crescita ormai decennale. Nel biennio 2008-9 la flessione del Pil è stata più accentuata che in Germania e nel resto d’Europa. Tra il 2001 e il 2009l’Italia è il Paese che è cresciuto meno. I consumi sono diminuiti di due punti, mentre sono rimasti stabili negli altri grandi Paesi europei. In un anno il potere d’acquisto pro-capite è sceso sotto il livello del 2000.
ALTRO CHE MEGLIO DEGLI ALTRI Eppure l’Italia ha tenuto, ma solo grazie ai risparmi (certo deteriorati) delle famiglie. Nell’emorragia di lavoro, che conta 380mila unità in meno in un anno e 329mila inattivi (chi non cerca neanche il lavoro) in più, si è scelto di salvare i capifamiglia (alcuni) scaricando tutto il peso su giovani, donne e stranieri (che tuttavia reagiscono meglio). L’opzione di finanziare le cig ha comportato il rafforzamento delle tutele per i lavoratori stabili, di solito dei padri, a scapito dei precari, più frequentemente figli. La percentuale dei giovani tra i 18 e i 34 anni costretti a restare a casa per ragioni economiche è salita al 58,6%. Ma la tutela dei «padri» ha avuto un effetto positivo sul tasso di deprivazione, quell’indice che segnala i beni che ci si possono permettere, «Considerando i redditi dei componenti, infatti – si legge nel Rapporto – la perdita imputabile all’uscita dal mercato del lavoro di un figlio di 15-34 anni è pari (in media) al 28,3% del totale del reddito familiare, a fronte di un valore del 50,6% nel caso di un padre, e del 37,1% nel caso della madre». Insomma, è stato più colpito chi contribuiva meno al reddito delle famiglie. Dato drammatico, e sotto certi aspetti cinico: hanno pagato i più deboli per consentire ai più forti di tenere in piedi «la baracca». Ancora più drammatico il dato sui padri espulsi, maggiormente concentrate tra le famiglie che erano già meno agiate. DIVARI SOCIALI La crisi ha alzato il velo su un sistema duale, dai divari sociali ormai incolmabili, che esclude dai circuiti produttivi e dalle aule scolastiche. L’Italia è finita al primo posto in Ue per abbandoni scolastici. E tra gli ultimi come tasso di occupazione giovanile, sceso al 44% con una caduta tre volte superiore a quella media del Paese. Trecentomila giovani hanno perso il lavoro nel solo 2009: 25mila al mese, mille al giorno togliendo i festivi. Una cifra che copre quasi l’80% della perdita complessiva dei posti; tutta la crisi su di loro. Il calo ha aumentato quella fascia dannata che gli esperti chiamano «Neet», ossia «Not in education, employment or training» (né al lavoro, né a scuola) di 142mila unità. Aumentano anche gli studenti (+83mila), cui si aggiungono altri 47mila giovani, ex studenti-lavoratori, che prolungano gli studi presumibilmente per le ridotte prospettive occupazionali. Quanto alle donne, hanno subito meno il calo occupazionale (-105mila), ma solo perché la crisi si innesta su una situazione già difficile. Quasi la metà del calo è concentrato al Sud. Molto particolare, invece, la reazione degli stranieri alla crisi. Il loro tasso di occupazione è diminuito di oltre il doppio rispetto a quello degli italiani, così come quello di disoccupazione. Ma il crollo viene mitigato da un continuo aumento di posti, soprattutto nei settori non qualificati
L’Unità 27.05.10
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“E io il curriculum lo mando a X-Factor” , di Giuseppe Culicchia
Tanto è inutile. Inutile, lo volete capire? Inutile. Stamattina gliel’ho di nuovo detto, a quei due. Quante volte gliel’avrò ripetuto, in questi ultimi dieci anni? Ormai ho perso il conto. In linea di massima, ogni giorno tre volte al giorno, ore pasti, come si fa con le medicine. Quindi, volendo, uno potrebbe anche calcolarlo. Perché ogni giorno, tre volte al giorno, loro se ne stanno lì seduti a guardarmi mentre faccio colazione o pranzo o cena, e a un tratto immancabilmente staccano gli occhi dal televisore e mi chiedono: «Allora, Kevin, che hai intenzione di fare? L’Università l’hai lasciata senza laurearti, e studiare non studi più. Almeno cercati un lavoro». Almeno cercati un lavoro. Roba da matti. E chi me lo dà un lavoro, in questo paese? Stiamo in Italia. Mica in America. E nemmeno in Europa. Che mi sbatto a fare, in un posto come l’Italia? No, dico, fossimo in un altro paese, per carità. Ma qui non ha senso. Qui è inutile. Se non conosci le persone giuste, se non entri nel giro giusto, se non hai la spinta giusta, va a finire che fai il precario a vita pure se ti sei laureato.
Che non leggete i giornali? Non li vedete AnnoZero Tg3 Ballarò? Qui c’è la Cricca. Qui c’è la Casta. Qui c’è il Sistema Gelatinoso. Qui ci sono Appaltopoli, Concorsopoli, Affittopoli, Parentopoli, Furbettopoli, Santopoli, Vallettopoli, Calciopoli, Intercettopoli, Raccomandopoli. Qui, cari miei, lavorano solo gli amici degli amici. «Ma tu ormai hai 30 anni, Kevin», mi dicono loro, mentre il piatto che ho davanti comincia a freddarsi.
«Noi a trent’anni…», e attaccano con la solita solfa. Ma che vuol dire? Ma ve lo siete dimenticati quanti provini ho fatto io? Ma avete presente tutte le volte che mi hanno rispedito a casa dal Grande Fratello e dall’Isola dei Famosi, ora che pigliano anche i non famosi? Sono anni che mi impegno per non imparare a far niente, visto che in previsione per avere successo non devi sapere far niente. Ma evidentemente non basta. «Kevin, al mondo non ci sono solo il Grande Fratello e l’Isola dei Famosi», mi dicono loro ogni volta. Evitare che non lo so? Non vi ricordate tutti i curricula che ho mandato a Amici e X-Factor? «Ma tu oltre a non studiare e a non lavorare non canti e non suoni, Kevin», mi fanno notare loro.
«Al massimo vai a ballare con i soldi della paghetta, e poi torni a casa alle sei del mattino che non ti reggi in piedi». E che vuol dire? Che significa? Che importa? Qui nessuno sa più far niente. Qui, ve ne sarete accorti, è un’impresa perfino installare il decoder. Qui basta che piova un po’ e succedono disastri, e non mi riferiscono solo a frane e inondazioni.
Avete presente il terrazzo qua fuori? Bastano due gocce e ci ritroviamo con il soggiorno allagato, grazie all’architetto che ha sbagliato l’inclinazione. E il giorno che non ci sarete più e per campare dovrò vendermi la casa? E se per disgrazia piove proprio quando viene a vederla il compratore? Tra l’altro, se per cortesia mi fate finire di mangiare è meglio, perché mi si fredda tutto, qui. Poi, dato che in fondo mi fanno tenerezza, li rassicuro: «Vedrete che prima o poi qualcosa farò. Magari, visto che non so far niente, il politico. Che così, anche se vendo questa casa, me ne ritrovo un’altra a mia insaputa».
La Stampa 27.05.10
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