economia, politica italiana

"Spunta il taglio di 10 province", di Gianni Trovati

Nella sua versione finale quella su regioni ed enti locali diventa una super-manovra, che chiede risparmi in due anni per 13 miliardi e impone una drastica razionalizzazione degli enti territoriali, in cui spunta anche l’abolizione (alla fine del mandato degli amministratori attuali) di 10 province non di confine che contano meno di 220mila abitanti.
Il governo locale, insomma, è chiamato a portare in dote metà del valore della manovra correttiva, e il grosso (come anticipato sul Sole 24 Ore di ieri) tocca alle regioni: a quelle a statuto ordinario il decreto chiede 7 miliardi (2,5 nel 2010), mentre alle regioni autonome spetta un compito da 1,5 miliardi. In crescita anche le richieste ai sindaci, che dovranno garantire 1,2 miliardi l’anno prossimo e 2,2 nel 2012, e per i presidenti di provincia (200 milioni nel 2011 e 440 nel 2012). Numeri «irricevibili» per Vasco Errani (Pd), presidente dei governatori, ma anche nel centrodestra la reazione non è morbida: «Se si chiedono sacrifici così a tutti i comparti la manovra può arrivare a 140 miliardi», ironizza Romano Colozzi, assessore al Bilancio in Lombardia, mentre Giuseppe Scopelliti, presidente della Calabria, chiede ai colleghi di mettersi a un tavolo per «studiare una controproposta». A spiegare le ragioni della cura da cavallo è stato in mattinata lo stesso Giulio Tremonti, chiamando tutti alla «responsabilità» perché «il patto Ue sarà più rigido», i paesi in deficit eccessivo si vedranno tagliare i fondi Ue e a subirne le conseguenze sarebbero soprattutto le regioni più in difficoltà. Meno tranchant la reazione di sindaci e presidenti, che sono usciti da palazzo Chigi ribadendo la loro «disponibilità ai sacrifici», chiedendo però tre condizioni: una boccata d’ossigeno sul 2010, una rimodulazione del patto per il prossimo biennio e tempi certi sul federalismo fiscale, che dovrebbe ora affrontare il nodo della fiscalità locale e dei tributi propri di sindaci e presidenti.

Confermato nelle ultime bozze circolate ieri anche il nuovo sistema delle super-sanzioni chiamate a blindare in anticipo i risultati del patto di stabilità per il bilancio pubblico.

Le regioni ordinarie, secondo questo meccanismo, si dovrebbero veder trattenuti ex ante i trasferimenti, per una somma pari al contributo richiesto, mentre agli enti locali inadempienti sarà tagliato un importo pari alla differenza fra gli obiettivi assegnati dalla manovra e i saldi effettivamente raggiunti. L’unico caso in cui l’assicurazione preventiva non può funzionare è quello delle regioni a statuto speciale, che non dipendono dai trasferimenti statali (trattengono le imposte “nate” sul loro territorio) e di conseguenza dovranno versare a consuntivo la sanzione, anche in questo caso pari alla differenza fra obiettivi e risultati. Ma novità esplosive arrivano anche per gli amministratori degli enti che non rispettano il patto, e che alla fine del loro mandato dovranno saltare un turno perché saranno esclusi dalle prime elezioni successive allo sforamento. Il cartellino rosso, secondo la lettera della norma, riguarderebbe tutti gli «amministratori», a prescindere dal loro ruolo.
La manovra esaminata ieri dal Consiglio dei ministri contiene però anche qualche buona notizia, che in parte va incontro alle condizioni poste soprattutto dai sindaci: arriva, prima di tutto, il bis del decreto anti-crisi, che sbloccherà negli enti che hanno rispettato il patto nel 2009 una quota (lo 0,78%) dei residui passivi bloccati in cassa e necessari a pagare le imprese fornitrici. La «boccata d’ossigeno» sul 2010 si concretizza invece in un assegno da 200 milioni, che sarà distribuito dal ministero dell’Interno.
Il patto di stabilità non esaurisce comunque la partita del risanamento dei conti pubblici locali, che si giocherà anche sul terreno della «razionalizzazione». Il divieto a costituire società, accompagnato dall’obbligo di dismettere entro l’anno le partecipazioni esistenti, dovrebbe abbracciare tutti gli enti fino a 30mila abitanti, mentre quelli fra 30mila e 50mila potranno avere in portafoglio una sola società. Nei 5.800 comuni sotto i 5mila abitanti scatta invece l’obbligo della gestione associata delle funzioni fondamentali.
Il Sole 24 Ore 26.05.10

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