attualità, politica italiana

"Il partito della falsa libertà", di Carlo Galli

La Commissione Giustizia del Senato ha discusso in seduta notturna una versione del disegno di legge sulle intercettazioni che è di per sé devastante. Ma che pare debba servire soltanto perché si abbia un articolato sul quale ulteriormente dibattere, dentro e fuori la maggioranza, per i futuri passaggi (in aula, e poi alla Camera). Nel frattempo è bene riflettere – oltre che sulla funzione del Legislativo, ridotto a operare come una sorta di provvisoria segreteria del governo e delle correnti della maggioranza – sulla “filosofia” che ha ispirato il testo. Che, anche se verrà modificato, resta paradigmatico della concezione della politica di una delle tre destre che ci governano, cioè con la destra populistico-carismatica dell´irrealtà (Berlusconi), mentre confligge, in grado diverso, con le altre due: cioè con la destra concreta degli interessi (quella di Bossi) e con la destra repubblicana delle istituzioni (Fini). Entrambe non a caso preoccupate, ciascuna dal proprio punto di vista, delle reazioni interne e internazionali che il ddl ha suscitato.
Quella legge è infatti il prodotto di una visione della politica che consiste nella sostituzione della realtà della quale tutti hanno esperienza (un´esperienza non univoca ma dialogica e conflittuale, eppure consistente) con un´altra realtà, soltanto immaginata e affabulata, che si afferma a danno della prima, e che tendenzialmente vi si sovrappone e la sostituisce. In questo caso, si tratta semplicemente di spegnere o almeno di affievolire le parole e le riflessioni – le azioni giudiziarie derivanti dalle intercettazioni, e la loro diffusione attraverso i media – che potrebbero interferire con la realtà virtuale (con la irrealtà) promossa dalle agenzie governative; con il risultato che i cittadini vivrebbero così in una favola ovattata in cui tutto va bene, e il “fare” operoso del governo prevale sul “dire” rancoroso dell´opposizione, e sulle persecuzioni della magistratura politicizzata.
Si dirà che appunto questa costruzione di un mondo doppio, di una irrealtà alternativa al reale, è l´obiettivo della propaganda di ogni regime. Ed è vero, come un minimo di conoscenza della storia del Novecento ci rammenta. Ma questo ddl ha mostrato – ancora una volta – una destra di tipo nuovo, che non opprime la libertà dei singoli col peso terribile del segreto di Stato, degli arcana imperii, e nemmeno con un martellamento ideologico apertamente anti-liberale. La lotta contro la cittadinanza liberaldemocratica avviene oggi in nome di un “segreto” non di Stato ma dell´individuo, non attraverso il rumore assordante degli slogan ma attraverso la sordina imposta alle indagini e il silenzio della stampa; insomma, non contro il singolo ma apparentemente a suo favore: a favore della «difesa assoluta della privacy individuale», come è stato detto da parte governativa. Il punto è che quel singolo soggetto così blindato in se stesso e così tutelato da ogni interferenza esterna, anche da quelle della magistratura che indaga su possibili reati, non è più un cittadino: questo, infatti, è inserito in quella rete di relazioni dialogiche – dalla legge civile e penale alla pubblica opinione, alla pubblica critica del potere – in cui essenzialmente consiste una democrazia liberale, nella quale il dire è il fare, ovvero la parola è la sostanza, e la libertà di parola non è mai “troppa”.
Privato di quello spazio pubblico che la modernità politica razionalistica e liberaldemocratica – da Kant a Mill – ha identificato nella pubblica opinione, i cui agenti primari sono partiti, parlamento e libera stampa, è solo un individuo, un atomo chiuso in se stesso e nella propria presunta “libertà”, un´entità isolata che rischia di perdere lo spazio pubblico e di divenire politicamente cieca, sorda e muta. Quel ddl veicola insomma un messaggio “individualistico” nel senso che Tocqueville attribuiva al termine – cioè di smarrimento del legame sociale e politico – ; un messaggio che si maschera da liberalismo ma che oggi assume il significato di un populismo antiliberale, il cui slogan potrebbe essere “liberi tutti”, un accattivante “ciascuno per sé”; un messaggio che adombra come modello di coesistenza una società composta di infiniti interessi privati gelosamente celati; un messaggio, infine, straordinariamente funzionale a uno specifico interesse privato o almeno parziale – la preoccupazione, cioè, per ulteriori sorprese che possano provenire dalle indagini della magistratura e per la delegittimazione ulteriore del governo e della maggioranza che ne seguirebbe, se fossero rese note dalla libera stampa – che si maschera da interesse di tutti.
Modificare radicalmente quel ddl – posto che sia possibile – è certo vitale; ma altrettanto importante è smascherare i rischi che in ogni caso sono contenuti nella professione di “libertà” che lo ha determinato; e ribadire che senza la forza della legge e senza l´informazione critica la libertà individuale – bene a cui nessuno vuole rinunciare – è destinata a rovesciarsi in impunità per i pochi e in impotenza politica per tutti.

La Repubblica 25.05.10

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