Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». Il terzo comma dell’articolo 97 della Costituzione italiana Floriane Messana ce l’ha
stampato in testa. Per lei, che si è laureata in giurisprudenza a Palermo con il massimo dei voti a 23 anni, ricordarlo è un gioco da ragazzi. Vederlo applicato, invece, un muro invalicabile. Oggi Floriane ha 28 anni. Di concorsi ne ha già vinti due. Il primo, nel 2007, per un posto di funzionario amministrativo all’Inail. Il secondo, l’anno scorso, come collaboratore amministrativo presso il ministero dell’Interno. Quattordicesima in graduatoria, su ottanta posti disponibili, dopo aver superato quattro selezioni e battuto qualche migliaio di aspiranti statali.
Due concorsi vinti, dunque, ma nessun posto di lavoro. Deve aspettare. Non solo lei. Come Floriane, in Italia ce ne sono parecchi. Tra province, regioni, enti di ricerca, enti pubblici non economici, comuni, ministeri e Asl, la conta è quasi impossibile. Una stima del 2007, uscita nelle pagine del Sole 24 Ore , parlava di 70mila. Oggi qualche cosa in più, come conferma anche il ministero della Funzione pubblica. Una piccola città. Per i cui abitanti non c’è posto. O, meglio, non c’è “il” posto. Che pure avrebbero vinto. Il blocco Per capire il perché ci si deve addentrare nella giungla normativa italiana. Fino al 2008 il reclutamento di personale nella pubblica amministrazione, almeno per i ministeri e gli enti non economici, era regolato dalle diverse Finanziarie che destinavano alle assunzioni un fondo globale (di solito 75 milioni di euro). Con quel denaro, visto che un lavoratore costa in media 35mila euro, era possibile fare oltre duemila assunzioni l’anno.
Il fondo veniva calcolato considerando un turn over al 7%. Quindi se venivano assunte duemila unità significava che ne erano cessate quasi 30mila. La distribuzione delle assunzioni veniva fatta, però, in base al peso politico di ogni singolo ministero. La legge finanziaria 2007, confermata dal decreto 112 del 2008 (il “decreto Brunetta”), ha modificato le regole. Ha previsto, a decorrere dal 2008, un turn over più razionale per i ministeri e gli enti pubblici non economici. Anziché la costituzione di un fondo unico, ogni amministrazione si può calcolare un budget sul quale fare le assunzioni. Il calcolo è questo: nel 2008 si poteva assumere il 20% del personale cessato nel 2007, nel 2009 si poteva assumere il 10% del personale cessato nel 2008, nel 2010 e 2011 il 20% di quello cessato rispettivamente nel 2009 e 2010, mentre nel 2012 il 50% di quello cessato nel 2011, per arrivare, infine, al 100% del turn over nel 2013.
Dunque, in base alla legge, le amministrazioni pubbliche centrali per coprire le carenze d’organico possono bandire concorsi e reclutare altro personale. In base a una tabella precisa, un turn over fissato per legge. E perché non si assume allora? Perché quella legge deve sottostare a un’altra norma. Voluta dal ministro Tremonti. E cioè quella (contenuta nel decreto n. 78 del 1 luglio 2009, convertito nella legge 102 il 3 agosto dello stesso anno) dove si dice, all’articolo 17, che le assunzioni sono subordinate «al conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa derivanti dall’adozione di piani di razionalizzazione degli Enti vigilati dalle pubbliche amministrazioni». Tradotto significa che, visto che mancano i soldi e lo Stato deve risparmiare, nonostante le leggi di riordino, non si fanno nuove assunzioni. A meno che i ministeri non razionalizzano riducendo le strutture dirigenziali e le dotazioni organiche del personale. Non basta il turn over, si deve tagliare di più.
Finito qui? No. A complicare le cose una nuova norma: il “mille proroghe” del marzo del 2010. Si è in piena campagna elettorale e il Parlamento decide per che per i vincitori di concorsi si deve aprire una “finestra”. I ministeri e gli enti, si dice, possono di nuovo assumere, ma entro il 30 giugno 2010. Oltre quella data scatta di nuovo il blocco a meno che non si attui una nuova razionalizzazione di spesa che prevede il taglio del 10% del numero dei posti di dirigenti di seconda fascia e la riduzione dei non dirigenti del 10% “della relativa spesa”. Questa condizione, poi, è valida per tutti tranne che per tre ministeri: Lavoro, Salute e Giustizia. Per questi il blocco permane perché non hanno tagliato abbastanza nel corso degli anni precedenti. A partire dal 30 giugno, quindi, i ministeri virtuosi e previo un congruo numero di tagli, potranno fare nuove assunzioni. Ma è proprio così? No. Perché nel frattempo c’è la crisi e la manovra correttiva da 28 miliardi. Bloccheranno gli stipendi degli statali ed è difficile che si assuma se non con il contagocce.
Eppure si continuano a fare i concorsi. Nell’arco del 2009, per quanto riguarda gli enti pubblici non economici e ministeri, sono stati autorizzati tre concorsi che copriranno i prossimi tre anni per altri 7.800 posti, di cui circa due quinti riservati agli interni. Questo senza contare quelli banditi dalle amministrazioni locali. Che andranno ad allungare la lista. Floriane e gli altri 70.000 dovranno ancora aspettare.
L’Unità 21.05.10