Caro Direttore,sono trascorsi diciotto anni dalle stragi di Capaci e via D´Amelio. Quasi due decenni, nel corso dei quali abbiamo atteso che fosse fatta luce su ragioni e responsabili di quelle stragi in cui hanno perso la vita undici persone, uomini e donne delle istituzioni. Abbiamo saputo da sempre, per usare le parole di Giovanni Falcone, che sono morti perché lo Stato non è riuscito a proteggerli. Oggi, sappiamo anche che proprio dentro lo Stato c´è chi ha fatto di tutto perché non si scoprisse la verità. E non mi riferisco alle oscure trame che a più riprese sono emerse da indagini giudiziarie e inchieste giornalistiche, senza mai trovare conferme definitive. Parlo di fatti concreti e gravissimi, che non possono essere tacciati di mero complottismo o di faziosa mistificazione.
Perché è un fatto che in tutto questo tempo, mentre la società reagiva alle stragi abbracciando e promuovendo la cultura della legalità, mentre l´ala militare di Cosa Nostra finiva in galera e la politica partecipava in pompa magna alle commemorazioni, la storia giudiziaria sulle stragi del ´92 è stata lasciata marcire in un deposito dello Stato a Bagheria, tra muffa ed escrementi, come raccontato da Attilio Bolzoni sul vostro giornale. È un fatto che oggi, a lavorare su quelle carte, ci siano solo un poliziotto e quattro magistrati. È un fatto che questi quattro magistrati si trovino a lavorare oberati dalle mille incombenze di una procura che opera in uno dei territori a maggiore densità mafiosa con solo 11 sostituti sui 16 previsti dalla pianta organica. Ed è un fatto che quando i procuratori che stanno indagando sulle stragi hanno chiesto ai servizi segreti le carte su Vito Ciancimino, si sono visti recapitare solo ritagli di giornale.
Sono questi fatti che mi fanno dire con certezza che c´è uno “Stato” che non vuole arrivare alla verità sulle stragi del ´92 e con essa, alla verità su un capitolo fondamentale della storia italiana.
Non si spiegano altrimenti le mille anomalie riscontrate dai giudici che indagano sul fallito attentato dell´Addaura. Anomalie vergognose, come la vicenda della scomparsa degli identikit dei presunti killer di Capaci, alcuni dei quali recuperati su una vecchia copia di Repubblica. Se all´epoca fosse stata in vigore una legge come quella cui si vuole oggi arrivare con il ddl intercettazioni, non avremmo avuto neppure quegli identikit.
E proprio parlando del ddl intercettazioni, non si può non sottolineare come questo disegno di legge, nato con un intento garantista, sia in realtà un bavaglio per la libertà d´informazione e un ulteriore freno per le indagini di magistratura e forze dell´ordine, indagini di mafia comprese.
La giustizia deve espletarsi nei tempi più rapidi possibili: è questo di cui ha bisogno il Paese, non di una legge del genere, né di tutelare la privacy dei boss. Il Paese ha bisogno di guardare in faccia la verità, non di nasconderla.
Il Paese deve sapere cosa e chi si nasconde dietro Capaci e via D´Amelio, così come dietro il fallito attentato dell´Addaura e le morti di Agostino e Piazza. Senza questa luce di giustizia si rischia di disperdere quell´immenso patrimonio di valori e pratiche di legalità, quell´impegno antimafia che la società è riuscita a costruire anche e soprattutto nel ricordo di Falcone e Borsellino. Per tutti questi motivi, dopo diciotto anni, non possiamo restare ciechi e muti dinanzi al deposito di Bagheria dove è stata seppellita la verità e dinanzi alle difficoltà della procura che sta cercando di riesumarla.
Eppure, cieca e muta è stata finora la politica, spesso animosa e scalpitante persino nel commentare le partite di calcio. Cieche e mute sono state le istituzioni, che saranno di sicuro in prima fila a celebrare gli anniversari del 23 maggio e del 19 luglio. Non mi piacciono le polemiche, ma alla politica e alle istituzioni, chiedo di risvegliarsi dal torpore e agire: prima di tutto, per mettere la magistratura nelle condizioni di portare avanti in tempi rapidi e con strumenti e forze adeguati le indagini sull´attento fallito dell´Addaura, sui mandanti di Capaci e via D´Amelio e sugli omicidi di Antonio Agostino ed Emanuele Piazza (vicende che oggi sembrano legate da un unico filo). Non si tratta solo di investire maggiori risorse, ma anche di fare chiarezza una volta per tutte sulle tante lacune con cui sono state condotte in vent´anni le indagini, di verificare e favorire l´effettiva collaborazione tra magistrati, forze dell´ordine e servizi segreti, di accertare le responsabilità di quanto accaduto nel deposito di Bagheria. Senza dimenticare anche tutto ciò che è custodito negli archivi della commissione parlamentare antimafia.
In altre parole, bisogna fare ordine in questo «disordine perfetto» che avvolge le stragi del ´92 e che impedisce di fare luce su quanto successo dopo, con le stragi del ´93, e sulla lunghissima stagione di sangue che spesso è stata definita come «un colpo di Stato strisciante».
Mi rivolgo pertanto al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affinché, come ha sempre fatto, sia garante dello stato di diritto. Sono sicura che il presidente Napolitano condivida la preoccupazione per una verità che continua a tardare. Una verità senza la quale non può esservi giustizia. E neppure democrazia.
La Repubblica 21.05.10