Si può rischiare anche di passare per censori, bigotti o bacchettoni, o addirittura di compromettere la propria virilità, a denunciare lo sfruttamento e la mercificazione dell´immagine femminile nella televisione italiana, in quella privata e a maggior ragione in quella pubblica. Ma il degrado è arrivato ormai a tal punto che si pone un´autentica questione di civiltà, di costume civile o meglio incivile. E dunque, di malcostume.
Per riconoscimento generale, non c´è nessun Paese al mondo in cui la tv esponga le donne, trattate come oggetti più o meno oscuri del desiderio, a questa continua “umiliazione mediatica”. Vallette, veline e troniste a tutte le ore del giorno e della notte; seni, cosce e sederi in primo piano e in bella mostra; atteggiamenti ammiccanti e seducenti, spesso al limite dell´adescamento. Per dirla chiaramente, la televisione italiana è un puttanaio catodico, all´interno del quale Mamma Rai gestisce come una maîtresse un´alcova di Stato.
D´accordo: anche le donne avranno le loro colpe. Almeno quelle che si prestano, per scelta o per necessità, a uno sfruttamento così intensivo. Ma le altre, tutte le altre, quelle che non compaiono mai in video e che la tv la vedono soltanto o la subiscono? Le nostre madri, mogli, sorelle, figlie e nipoti?
Solo una cultura maschilista, fondata su una presunta superiorità fisica e intellettuale, intrisa di machismo, può pretendere di ribaltare le responsabilità sulle donne. Spesso, anche quelle che esibiscono il proprio corpo come una merce sono vittime in realtà di un sistema, di una mentalità diffusa e radicata, di un costume o malcostume – appunto – che produce comportamenti discutibili o sbagliati. E nei casi più estremi, prigioniere di una condizione effettiva di schiavitù.
Ma il peggio è che questa “umiliazione mediatica” delle donne in tv genera e alimenta poi nei loro confronti un atteggiamento di disprezzo, sopraffazione e aggressività che sta all´origine di tante violenze, fisiche e morali; di tanti delitti quotidiani e perfino di tanti reati a sfondo sessuale. È la televisione “cattiva maestra”, come la definisce il filosofo Karl Popper, quella che disinforma e diseduca a livello di massa.
Di fronte a questo allarme sociale, assume perciò un particolare rilievo il voto a cui sarà chiamata martedì prossimo la Commissione parlamentare di Vigilanza sugli emendamenti al Contratto di servizio della Rai proposti dal Pd, per garantire le pari opportunità nelle trasmissioni del servizio pubblico. L´obiettivo è quello di istituire un Osservatorio, «affidato a una o più società di provata esperienza e capacità scientifiche», in modo da monitorare tutta la produzione televisiva e verificare il rispetto degli obblighi della Rai sulla rappresentazione dell´immagine femminile. Questo, come dice lo stesso relatore Roberto Rao (Udc), «è il presupposto necessario per poter comminare eventuali sanzioni, in caso di inadempienze o violazioni».
Bisognerà vedere ora se all´interno della maggioranza, condizionata dagli interessi del regime televisivo, prevarranno le resistenze al nuovo Contratto di servizio o piuttosto le ragioni di un impegno trasversale in difesa della donna. Proprio per questo l´ex ministro Giovanna Melandri, dagli schermi di Repubblica Tv, ha rivolto nei giorni scorsi un appello al ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, sollecitandola a battere un colpo: «Si tratta – ha avvertito – di capire una volta per tutte se le donne che rappresentano il centrodestra in Parlamento hanno introiettato il velinismo in politica come condizione per sopravvivere nel populismo mediatico oppure se intendono contrastare i mali profondissimi che tutto ciò ha già provocato».
Altrimenti, resterà senza risposta la domanda che Lorella Zanardo, autrice del libro citato all´inizio e dell´omonimo documentario, pone con la forza di una denuncia: “Perché noi donne accettiamo questa umiliazione mediatica?”.
La Repubblica 15.05.10
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