Almeno negli enti locali, la riforma Brunetta rischia di fallire proprio nel suo punto di forza, il rilancio della meritocrazia. In media ai dipendenti pubblici meritevoli sarà riconosciuto un premio appena superiore ai 400 euro. Troppo poco per indurre i più passivi e improduttivi a mutare atteggiamento. Intanto, però, il nuovo sistema di valutazione determinato dalla riforma è assai complesso e richiede notevoli sforzi organizzativi. Con il rischio che a crescere sia la spesa per le consulenze necessarie per comprendere e applicare il sistema.
Molto rumore per nulla. La “riforma Brunetta”, almeno per il comparto degli enti locali, rischia di fallire proprio lì dove aveva puntato decisamente, cioè il rilancio della meritocrazia.Troppo poche, infatti, sono le risorse distribuibili per incentivare i più meritevoli, rispetto agli sforzi organizzativi richiesti dalla riforma.
UN INCENTIVO MOLTO POVERO
Il censimento del personale locale relativo al 2008, effettuato dal ministero dell’Interno in base al Conto del personale elaborato dal ministero dell’Economia, rileva che “le risorse complessivamente destinate alla produttività individuale nell’anno 2008 ammontano a euro 191.610.983 e hanno riguardato in totale n. 916.563 dipendenti”. Dividendo le due cifre, si ottiene che in media il premio per la produttività individuale distribuito ammonta a 209,05 euro per ciascun dipendente.
Il dato appare viziato, perché è lo stesso censimento a rilevare che complessivamente i dipendenti degli enti locali sono 457.840. Assumendo, allora, che le risorse siano effettivamente quelle rilevate, in media, a ciascun dipendente spetta, come produttività individuale, la somma di 418,51 euro. Su un salario medio lordo di 25.000 euro si tratterebbe dell’1,67%. In entrambi i casi, ma specialmente nella prima ipotesi, l’unica considerazione possibile è prendere atto che la montagna, come sul dirsi, ha partorito un topolino.
L’effetto concreto dei sistemi di valutazione finalizzati a esaltare la meritocrazia, premiare effettivamente i meritevoli e sanzionare gli incapaci, almeno nel sistema locale, si concretizza in ben modesta cosa. La media dei premi per il risultato è poco più di un’erogazione simbolica, il cui importo – si ribadisce, in media – non può certamente essere considerato un risultato particolarmente incentivante per il destinatario.
LE COMPLESSITÀ DELLA VALUTAZIONE
Questa considerazione getta una luce diversa sul decreto legislativo 150/2009 che proprio sulla meritocrazia e sul sistema di premio ai dipendenti capaci fonda gran parte, almeno quella “mediatica”, del suo impatto. Se, come da più parti affermato, scopo della norma è correggere anche i “fallimenti” delle precedenti discipline sul personale pubblico, appare chiaro che uno tra i più evidenti scostamenti tra le buone intenzioni e i risultati effettivi delle riforme è proprio l’effetto concreto dei sistemi di valutazione. L’impianto del sistema desumibile dalla riforma è estremamente complesso, se non complicato: si è introdotta una commissione nazionale per la valutazione, si è posto enfaticamente l’accento sul “ciclo della gestione della performance”, si è rinunciato all’utilizzo della lingua italiana appunto per parlare di performance invece che di risultato o merito, si sono introdotte “fasce di valutazione” che obbligatoriamente impongono di predeterminare quanti dipendenti sono meritevoli e quanti poco produttivi, si connette la valutazione individuale al risultato dell’ente nel suo complesso e della struttura presso la quale si opera, determinando un reticolo quasi inestricabile di connessioni tra gli elementi da valutare. Insomma, l’impatto organizzativo del diverso sistema di valutazione derivante dalla riforma è particolarmente pesante e complesso da gestire. Fermo restando che ogni riforma tendente all’incremento della produttività del lavoro pubblico è la benvenuta, in una logica costi/benefici, sarebbe lecito aspettarsi che questo complicato sistema di valutazione crei, oltre ai valori della meritocrazia e della logica del servizio, anche il valore di un reale incentivo per i lavoratori pubblici. Ma, se la media della retribuzione di risultato è di poco più di 400 euro si può dubitare dell’efficacia incentivante del sistema. I singoli dipendenti pubblici potranno essere spinti verso il merito e la crescita della produttività più per il senso di responsabilità e di servizio verso la cittadinanza, che non per aspettative di significativi incrementi retributivi. Il rischio è che, simmetricamente, i dipendenti portati – patologicamente – ad avere un atteggiamento più passivo e improduttivo non siano per nulla indotti dal sistema a un significativo cambio. Competere allo scopo di avere un incentivo poco significativo, non costituisce probabilmente una spinta concreta verso il miglioramento delle proprie prestazioni lavorative. La sensazione, allora, è che l’effetto realmente voluto dal legislatore sia più quello della “caccia al fannullone”, che non dell’incentivazione dei meritevoli. Certo, a limitare gli effetti economici della valutazione sono state le stesse amministrazioni locali: l’abuso delle progressioni orizzontali, cioè gli aumenti agli stipendi, ha prosciugato le risorse decentrate a tutto detrimento del finanziamento di quelle destinate a premiare il risultato, cosa, peraltro, molto gradita alle organizzazioni sindacali, che puntano decisamente alla limitazione degli effetti di differenziazione della valutazione. In ogni caso, così come stanno le cose, per ripartire poco più di 400 euro deve scattare una revisione “epocale” dei sistemi di valutazione, che racchiude il rischio di una crescita della spesa per consulenze e incarichi necessari per comprendere e applicare il sistema.
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