Sono pronti a non tenere lezioni nel prossimo anno accademico. E, fin dal prossimo mese, a disertare le commissioni di laurea e ad abbandonare le attività di tutorato. Ricercatori sul piede di guerra. Anche all’Alma Mater. Si stanno contando, facoltà per facoltà, per sapere quanti sono disposti ad astenersi dalla didattica, in vista dell’assemblea d’Ateneo che si terrà martedì prossimo alle 13 e della mobilitazione nazionale contro le conseguenze del disegno di legge Gelmini. La riforma dell’università, e i tagli confermati dal ministro Tremonti, stanno mettendo in subbuglio gli atenei di tutta Italia. E Bologna non si tira indietro. Il fronte sindacale dei tecnici e amministrativi, dei docenti, dei precari, oltreché dei ricercatori, compatto come non mai, chiama a raccolta il personale nella stessa giornata di martedì dalle 10.30 nell’aula V di via Zamboni 38 per un’assemblea che si concluderà con l’occupazione pacifica e simbolica del rettorato (molte lezioni potrebbero quindi saltare). «Chiederemo al rettore Ivano Dionigi di prendere posizione contro i provvedimenti che penalizzano l’università», annuncia Davide Valente della Cgil-Flc.
Alla prima assemblea dei ricercatori dell’Alma Mater, che si è tenuta il 13 aprile (nella foto), ha partecipato anche il rettore Ivano Dionigi che all’interno della Conferenza dei rettori (Crui) ha proposto un documento a sostegno delle loro richieste. In quella stessa aula si terrà martedì prossimo la seconda assemblea dei ricercatori
La protesta dei ricercatori, che ha il sostegno della conferenza dei presidi delle facoltà di Scienze e Tecnologie, rischia di mettere in ginocchio la didattica. A Medicina, la facoltà più grande dell’Alma Mater, 150 ricercatori su 214 hanno dichiarato la loro disponibiltà a incrociare le braccia. «Significa che verranno a mancare circa 6.800 ore di didattica frontale, con corsi frequentati anche da 160-200 studenti, che dovranno essere tenuti da docenti di I e II fascia — spiega Vitaliano Tugnoli, rappresentante dei ricercatori —, un’adesione così alta è un fatto storico per questa facoltà». A Ingegneria su poco più di cento ricercatori, la metà non vuole ricoprire incarichi didattici il prossimo anno, ma la conta non è finita. «A Chimica industriale l’adesione è all’80 per cento, ma arriveremo al 90 alla fine — annuncia Loris Giorgini, che rappresenta i ricercatori nel cda dell’Ateneo —, a Scienze ci sono dipartimenti come Fisica dove l’adesione è al 70 per cento, aMatematica siamo alla metà, altre facoltà come Economia, Lettere, Scienze politiche si stanno contando in questi giorni».
Nel mirino dei ricercatori c’è la riforma Gelmini che li incasella in una categoria a esaurimento, senza prospettive e senza futuro. Contro quel disegno di legge però protestano tutti gli universitari, dai docenti al personale tecnico amministrativo, dai precari fino agli studenti. Per questo è stata indetta la «Settimana di mobilitazione per garantire un futuro all’università pubblica, autonoma, di qualità», che culminerà martedì nell’occupazione simbolica dei rettorati. Contro i tagli al Fondo di finanziamento statale che porterà 40 milioni di euro in meno nelle casse dell’Università di Bologna, contro la precarizzazione dei docenti e dei ricercatori, contro il decreto Brunetta che penalizza i tecnici e gli amministrativi.
Il Corriere della Sera 14.05.10
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Atenei, lezioni a singhiozzo contro il ddl Gelmini
Lezioni a rischio da lunedì negli atenei italiani. I ricercatori, ma anche molti docenti, incroceranno le braccia contro la riforma del ministro Mariastella Gelmini. Al centro della protesta, la mancanza di risorse per il sistema universitario e l’impossibilità, per gli attuali ricercatori a tempo indeterminato, di fare carriera e diventare docenti a causa delle nuove regole volute dal ministro. Per le stesse ragioni il 18 è in programma un’assemblea nazionale a Roma, alla Sapienza, mentre il 19 ci sarà un sit-in sotto al Senato dove è al vaglio la riforma. Se le cose non cambieranno i ricercatori hanno già annunciato che da settembre non saliranno più in cattedra.
Per far capire quali saranno le conseguenze della loro assenza, già la prossima settimana, da lunedì, faranno una sorta di “prova generale” astenendosi dalla didattica. «A Napoli- spiega Alessandro Pezzella, ricercatore della Federico II- è a rischio il 50% dei corsi». Nell’ateneo campano, nella facoltà di Scienze, ne sono già saltati 40: i ricercatori si sono auto-sospesi già da questo quadrimestre. A Napoli, come nel resto d’Italia, le uniche facoltà che si salveranno sono quelle di Giurisprudenza dove, normalmente, non ci sono corsi affidati ai ricercatori.
Alla Sapienza di Roma ci sono facoltà dove il 50% dei corsi è coperto da chi dovrebbe occuparsi di ricerca. La prossima settimana nell’ateneo le lezioni potrebbero tenersi con il contagocce.
A Milano, alla statale, è a rischio il 30% dei corsi. «Negli atenei c’è un grosso stato di agitazione – ammette Bartolomeo Azzaro, pro-rettore per lo sviluppo delle attività formative e di ricerca della Sapienza – ci sono 26.000 ricercatori a tempo indeterminato nell’università italiana a cui la riforma preclude qualunque tipo di carriera. Nel nostro ateneo un terzo di ricercatori hanno già dichiarato la loro indisponibilità a fare lezione da settembre, il rettore Frati è stato costretto a scrivere al ministero per far presente la situazione».
Il problema è talmente diffuso che il Miur è stato costretto a rinviare il termine ultimo per la presentazione dell’offerta formativa da parte degli atenei al primo giugno (inizialmente era il 15 maggio): impossibile definire i corsi se non si sa chi insegnerà o meno a settembre.
Oggi, intanto, il Cnru, il coordinamento nazionale dei ricercatori, guidato da Marco Merafina, della Sapienza, ha incontrato la Crui, la conferenza dei rettori, per presentare la propria proposta per garantire una carriera a chi rischia di restarne fuori con la riforma.
Il Cnru propone una valutazione da fare a chi ha già accumulato almeno sei anni di didattica nella stessa facoltà per permettere il passaggio nella fascia dei docenti associati. «E’ una proposta a costo zero – assicura Annalisa Monaco, del Cnru – perchè chi ha già una certa anzianità con lo scatto non dovrà avere subito uno stipendio più alto. Con questo meccanismo si potrà garantire una carriera ad almeno 16.000 ricercatori a tempo indeterminato. I rettori stanno esaminando la proposta, che, lo diciamo chiaramente, non è un’ope legis, noi vogliamo essere valutati».
La parola finale spetta al Parlamento: da martedì si torna a votare sul ddl, gli emendamenti in ballo sono proprio quelli che riguardano i ricercatori. Ce n’è uno del relatore, Giuseppe Valditara, Pdl, che, intanto, elimina la disparità di trattamento tra i vecchi ricercatori a tempo indeterminato e quelli nuovi a termine: tutti potranno essere soggetti a chiamata diretta da parte degli atenei dopo l’abilitazione.
L’Unità 14.05.10