Nei prossimi giorni, le Commissioni parlamentari dell’Istruzione devono esprimersi su un Decreto che regolamenta la formazione dei futuri insegnanti. Esso, recependo le indicazioni di una “Commissione Israel”, riduce a nulla o quasi la preparazione specificamente didattica nell’iter che conduce all’abilitazione ed è perciò fuori del tempo; oggi, infatti, le problematiche da affrontare nelle classi hanno a che fare con la motivazione da promuovere nei ragazzi (perciò con le competenze psicopedagogiche e metodologiche dei docenti), altrettanto quanto con i contenuti disciplinari. Il Decreto tace sulle procedure con cui i nuovi abilitati saranno poi assunti; la legge da cui esso deriva prevedeva invece una regolamentazione congiunta di formazione e reclutamento, sicché è dubbia la legittimità stessa di un Decreto dimezzato. I futuri abilitati vengono collocati in un limbo dalle imprecisate prospettive; eppure, il ministro Gelmini aveva soppresso le Ssis (Scuole di specializzazione dell’istruzione secondaria) affermando che un’abilitazione senza regole per il reclutamento non ha senso. In un’intervista del primo maggio (è la sua concezione del diritto al lavoro) il ministro ha ora chiarito il perché di questa sua incoerenza. Le procedure per le assunzioni le sta in realtà predisponendo: dichiara infatti, testualmente, che «gli insegnanti saranno reclutati su chiamata diretta da parte delle scuole». Non si tratta solo dell’accoglimento di posizioni leghiste ispirate allo “ius loci”, in quanto l’ipotesi circolava da tempo in una logica scolastica “aziendalista”; nessun ministro aveva però osato farla propria per il semplice motivo che, come recita la Costituzione: «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede per concorso» (art. 97). Il tema del reclutamento di nuovi insegnanti potrebbe apparire inattuale, in presenza delle sforbiciate che fanno perdere lavoro anche a chi già insegna; ma occorre comunque operare in vista della situazione a regime, quando tra un paio di anni il turn over ritornerà elevato in relazione ai numerosi pensionamenti. In quella prospettiva, è necessario che accanto alle graduatorie di chi già c’è, venga predisposto un meccanismo concorsuale che dia spazio ai migliori laureati delle nuove leve; altrimenti, è inutile invocare scelte di qualità e ringiovanimento del corpo docente. A chi gli faceva osservare che spesso i concorsi funzionano male, Paolo Sylos Labini rispondeva che per l’assunzione dei professori tramite concorso vale quello che diceva Churchill a proposito della democrazia parlamentare: «Una soluzione pessima, ma una migliore non è mai stata individuata ».
*Università di Genova
L’Unità 12.05.10
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