L’unità nazionale è figlia della storia, di processi culturali, fatti linguistici, intraprese politiche, fenomeni sociali. Ma è anche frutto del diritto: senza coesione giuridica non c’è unità politica, senza un tessuto di regole comuni e condivise è impossibile la stessa convivenza. Dunque il diritto non può creare l’unità nazionale, però deve alimentarla, e in conclusione deve conservarla.
A questa vocazione risponde innanzitutto la legge più alta, quella scolpita nelle tavole costituzionali. Nei 150 anni dell’Italia unita ne incontriamo due, diverse nella propria genesi, nella concezione dei rapporti fra lo Stato e i cittadini, nell’architettura della cittadella pubblica. Eppure c’è almeno un filo di continuità fra lo Statuto Albertino e la Carta repubblicana: l’uno e l’altra sono stati concepiti con lo sguardo rivolto al futuro, alle generazioni che verranno. Nel più autorevole commento allo Statuto, firmato da Racioppi e Brunelli, quest’ultimo era raffigurato come una sorgente di «principii in attesa della loro sostanza vitale». Un secolo più tardi Piero Calamandrei illustrò il medesimo concetto sui banchi dell’Assemblea Costituente; e rivolgendosi agli altri deputati li esortò a operare, secondo il verso dantesco, «come quei che va di notte, che porta il lume dietro e a sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte».
C’è insomma una tradizione giuridica italiana che si mantiene inalterata pur nel passaggio dal regno alla repubblica; ma in che misura si è tradotta in un fattore d’unificazione? Se effettuassimo un esame intransigente, dovremmo stendere un bilancio in rosso. Sull’unità degli italiani pesano fratture storiche mai del tutto ricucite: quella fra élite e masse popolari, a partire dal modo in cui le classi dirigenti sabaude gestirono il nuovo Stato nazionale; quella fra laici e cattolici dopo il Non expedit di Pio IX; la guerra civile dopo l’8 settembre; la conta fra monarchici e repubblicani; lo scontro fra partiti di sistema e partiti antisistema, gli uni e gli altri – significativamente – con un riferimento fuori dal contesto nazionale (Washington, Mosca, Città del Vaticano). E pesa infine una questione meridionale che nel tempo si è aggravata, invece d’attenuarsi.
Tuttavia gli ostacoli al sentimento unitario non devono indurci a negare quello stesso sentimento. Vale per l’unità nazionale, vale per tutti gli altri valori espressi dalla Costituzione, a cominciare dai valori di eguaglianza e libertà. Potrà mai esistere una società totalmente libera, totalmente eguale? Non su questa terra, perché la vita stessa genera ogni giorno nuove situazioni di diseguaglianza, nuove ferite alla libertà degli individui. Conta allora la tensione verso l’eguaglianza, verso la libertà, infine verso l’unità. La condizione umana riecheggia la fatica di Sisifo, ciascuno di noi porta un masso sulle spalle, senza mai riuscire a liberarsene. A loro volta i valori costituzionali sono come l’orizzonte che ci sovrasta: non possiamo toccarlo con le mani, ma non possiamo neppure evitare di tendervi lo sguardo.
Nella Carta repubblicana, questo orizzonte si disegna nell’art. 5: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali». Una formula icastica, che però fu ritenuta a lungo una scatola vuota. Per quale ragione? Perché ospita due principi che a prima vista si negano l’un l’altro, perché l’unità è nemica della diversità. Ma l’identità – in termini aristotelici – è sempre un divenire, sia per i singoli sia per i corpi collettivi. In secondo luogo, l’unità non è uniformità: anche il matrimonio è un’unione fra sessi diversi, e d’altronde l’unione dell’uno sarebbe un ossimoro. In terzo luogo, in democrazia l’unità è a sua volta pluralista, il pluralismo genera l’autonomia delle comunità locali, e l’autonomia esprime una carica antiautoritaria, perché avvicina governanti e governati. Da qui la doppia valenza dell’art. 5: vi si estrae sia un principio propulsivo, nel senso del decentramento del potere pubblico; sia un principio negativo, un argine a riforme che possano disgregare il nostro tessuto connettivo, anche se approvate nella forma della legge costituzionale.
Ma a chi spetta custodire l’unità? Dice l’art. 87: «Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale». Anche in questo caso la formula costituzionale inizialmente venne irrisa, fino a qualificarla espressione «poetica» o al più pleonastica. Sennonché – come osservò Ruini in Assemblea costituente – vi s’incarna «la forza permanente dello Stato al di sopra delle fuggevoli maggioranze». Certo: il Presidente è specchio dell’unità che c’è, può rifletterla, non può crearla artificiosamente. Anche il suo ruolo di custode sarebbe impotente dinanzi a fenomeni insurrezionali, quando il fatto diventa diritto. Ma l’esperienza insegna che i valori costituzionali possono venire erosi gradualmente, in forme oblique, attraverso una pioggia d’episodi minori che in conclusione ne faccia marcire le radici. E questo pericolo chiama in causa non solo il Capo dello Stato, bensì ciascuno di noi, la vigilanza di ogni cittadino.
da www.lastampa.it
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Il Presidente Giorgio Napolitano: «Le celebrazioni del 150° siano l’occasione per un clima nuovo nel rapporto tra le diverse realtà del Paese»
“Siano le celebrazioni del 150° del nostro Stato nazionale, l’occasione per determinare un clima nuovo nel rapporto tra le diverse realtà del paese, nel modo in cui ciascuna guarda alle altre, con l’obbiettivo supremo di una rinnovata e più salda unità. Unità che è, siamone certi, la sola garanzia per il nostro comune futuro”. Lo ha affermato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Marsala nel discorso celebrativo del 150° anniversario dello sbarco del Mille.
“Oggi – ha detto il Presidente Napolitano – siamo qui per rievocare il ruolo della Sicilia nel compimento del processo di unificazione nazionale. Senza la Sicilia e il Mezzogiorno non si sarebbe certo potuto considerare compiuto quel processo, non si sarebbe potuto far nascere uno Stato che rappresentasse pienamente la nazione italiana e che si ponesse, in pieno Ottocento, tra i maggiori Stati europei”.
Il Capo dello Stato ha ricordato che “le celebrazioni del 150° anniversario della fondazione del nostro Stato nazionale offrono l’occasione per mettere in luce gli apporti della Sicilia e del Mezzogiorno a una storia comune e ad una comune cultura, che affondano le loro radici in un passato plurisecolare, ben precedente lo sviluppo del processo di unificazione statuale della nazione italiana. Di quel patrimonio, culminato nelle conquiste del 1860-1861, possiamo come meridionali essere fieri: non c’è spazio, a questo proposito, per pregiudizi e luoghi comuni che purtroppo ancora o nuovamente circolano, nell’ignoranza di quel che il Mezzogiorno, dando il meglio di sé, ha dato all’Italia in momenti storici essenziali”.
Il Presidente ha poi rilevato che “in un bilancio critico del lungo periodo che ha seguito l’unificazione d’Italia, non si coltivino nel Mezzogiorno rappresentazioni semplicistiche delle difficoltà che esso ha incontrato, dei prezzi che ha pagato, per errori e storture delle politiche dello Stato nazionale nella fase della sua formazione e del suo consolidamento. Il ripescare le vecchissime tesi (perché vecchissime sono) – come qualche volta si sente fare – di un Mezzogiorno ricco, economicamente avanzato a metà ‘800, che con l’Unità sarebbe stato bloccato e spinto indietro sulla via del progresso, non è degno di un approccio serio alla riflessione storica pur necessaria. E non vale nemmeno la pena di commentare tendenze, che per la verità non si ha coraggio di formulare apertamente, a un nostalgico idoleggiamento del Regno borbonico”.
“Si può considerare solo penoso – ha affermato – che da qualunque parte, nel Sud o nel Nord, si balbettino giudizi liquidatori sul conseguimento dell’Unità, negando il salto di qualità che l’Italia tutta, unendosi, fece verso l’ingresso a vele spiegate nell’Europa moderna. Mentre chi si prova a immaginare o prospettare una nuova frammentazione dello Stato nazionale, attraverso secessioni o separazioni comunque concepite, coltiva un autentico salto nel buio. Nel buio, intendo dire, di un mondo globalizzato, che richiede coesione degli Stati nazionali europei entro un’Unione più fortemente integrata e non macroregioni allo sbando. Lasciamo scherzare con queste cose qualche spregiudicato giornale straniero”.
“Non è la prima volta che lo dico – ha affermato il Presidente Napolitano – e sento il bisogno di ripeterlo; le critiche che è legittimo muovere in modo argomentato e costruttivo agli indirizzi della politica nazionale, per scarsa sensibilità o aderenza ai bisogni della Sicilia e del Mezzogiorno, non possono essere accompagnate da reticenze e silenzi su quel che va corretto, anche profondamente, qui nel Mezzogiorno, sia nella gestione dei poteri regionali e locali e nel funzionamento delle amministrazioni pubbliche, sia negli atteggiamenti del settore privato, sia nei comportamenti collettivi. E parlo di correzioni essenziali anche al fine di debellare la piaga mortale della criminalità organizzata che è diventata una vera e propria palla di piombo al piede della vita civile e dello sviluppo del Mezzogiorno”.
“Nello stesso tempo – ha concluso il suo intervento il Presidente della Repubblica – si deve chiedere a tutte le forze responsabili che operano nel Nord e lo rappresentano, di riflettere fino in fondo su un dato cruciale : l’Italia deve nel prossimo avvenire crescere di più e meglio, ma può riuscirvi solo se crescerà tutta, se crescerà insieme, solo se si metteranno a frutto le risorse finora sottoimpiegate, le potenzialità, le energie delle regioni meridionali”.
Successivamente il Capo dello Stato si è recato a Salemi dove ha inaugurato il restaurato Palazzo Municipale e visitato i Musei del Risorgimento e della Mafia, e la Mostra del FAI “Paesaggi d’Italia”.
Ultima tappa del viaggio in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia è stata Calatafimi dove il Presidente Napolitano ha deposto una corona al Sacrario di Pianto Romano e scoperto una targa in ricordo dei garibaldini che persero la vita nella battaglia del 15 maggio 1860 alla presenza dei sindaci delle città di provenienza dei caduti.
da quirinale.it
Intervento del Presidente Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del 150° anniversario dello ” Sbarco dei Mille “, Marsala 11/05/2010
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«Napolitano a Marsala omaggia i Mille: “Penoso liquidare l’Unità d’Italia”»,
Il presidente accolto da applausi. «No a luoghi comuni sul Sud, secessione è un salto nel buio»
In occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità di Italia, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano pronuncia da Marsala parole dure contro «i penosi giudizi liquidatori sull’Unità».
«Si può considerare solo penoso che da qualunque parte, nel Sud o nel Nord, si balbettino giudizi liquidatori sul conseguimento dell’Unità, negando il salto di qualità che l’Italia tutta, unendosi, fece verso l’ingresso a vele spiegate nell’Europa moderna», ha detto il presidente della Repubblica. Un discorso, quello del Capo dello Stato, molto applaudito, sottolineato dal consenso nei passaggi in cui ha riaffermato l’importanza della coesione nazionale, il ruolo «non passivo, ma da protagonista» della Sicilia nel moto unitario, e anche quando ha affermato che il contributo del Mezzogiorno e «storicamente indiscutibile».
«Le celebrazioni del 150° anniversario – ha proseguito Napolitano – offrono l’occasione per mettere in luce gli apporti della Sicilia e del Mezzogiorno a una storia e a una cultura comuni che affondano le radici in un passato plurisecolare. Di quel patrimonio, culminato nelle conquiste del 1860-1861, come meridionali possiamo essere fieri: non c’è spazio, a questo proposito per pregiudizi e luoghi comuni che purtroppo ancora o nuovamente circolano, nell’ignoranza di quel che il Mezzogiorno ha dato all’Italia in momenti storici essenziali».
Napolitano ha concluso invitando da un lato il Mezzogiorno a non indulgere nel coltivare «rappresentazioni semplicistiche delle difficoltà che ha incontrato» e dall’altro lato a non «ripescare le vecchissime tesi, non degne di un approccio serio alla riflessione storica, di un Mezzogiorno ricco, economicamente avanzato a metà Ottocento che con l’Unità sarebbe stato bloccato e spinto indietro sulla via del progresso». Nella Piazza della Repubblica gremita, vibrante di entusiasmo, con le bandiere tricolori appese ai balconi, Giorgio Napolitano ha affermato che proprio queste adesioni dimostrano che le celebrazioni del Centocinquatenario dell’Unità d’Italia non sono manifestazioni retoriche ma iniziative che hanno una vera adesione popolare e sono sentite come iniziative per rinnovare il Patto fondativo della nostra Nazione. Sul palco, accanto al Capo dello Stato, c’erano il presidente del Senato Renato Schifani, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il sindaco di Marsala Renzo Carini e varie autorità locali. «La presenza del ministro La Russa – ha detto Napolitano – testimonia l’impegno del governo per queste celebrazioni».
Napolitano sulle orme dei garibaldini al porto di Marsala
Il tour siciliano del presidente Napolitano sulle orme dei garibaldini è iniziato questa mattina. All’arrivo al porto di Marsala (Trapani), è stato accolto da un lungo applauso dei bambini, in maglia rossa e con il tricolore in mano, delle scuole elementari della città. Accompagnato dalla signora Clio, il capo dello Stato è stato poi salutato dal ministro della Difesa Ignazio La Russa e dal presidente del Senato Renato Schifani. Subito dopo il suo arrivo il presidente della Repubblica ha deposto una corona al monumento dedicato a Giuseppe Garibaldi, mentre i bambini hanno intonanto l’Inno di Mameli. Napolitano ha poi accolto le barche a vela “Piemonte” e “Lombardo” che portavano simbolicamente a bordo i “garibaldini”, rigorosamente in maglia rossa, proprio come era avvenuto l’11 maggio del 1860 al porto di Marsala. A causa del forte vento, però, le barche non hanno potuto attraccare.
Il sindaco di Marsala: «Bossi perde l’ennesima occasione»
Poche ore prima della cerimonia il sindaco di Marsala era tornato sulla polemica innescata da alcuni esponenti della Lega che avevano annunciato di non prendere parte ai festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. «Oggi, decidendo di non venire qui a Marsala, i ministri Bossi e Calderoli hanno perso una grande occasione per rilanciare l’unità d’Italia», ha detto il primo cittadino Renzo Carini (Pdl). «Ho invitato Bossi e Calderoli a salire con noi a Quarto sulle imbarcazioni “Piemonte” e “Lombardo”, ma Bossi ha perso l’ennesima occasione e mi dispiace», ha concluso il sindaco.
da www.lastampa.it