L’Università sta vivendo un momento di particolare confusione e disorientamento. Da una parte intense campagne mediatiche hanno enfatizzato difetti e disfunzioni che certamente devono essere sanati attraverso un vero processo di riforma; dall’altra la mancanza di chiarezza su scelte strategiche, nuove regole e reali disponibilità rende difficile la programmazione delle stesse attività ordinarie di didattica e di ricerca.
Il maggior prezzo di questa situazione, come sempre, è pagato dai più giovani, studenti e nuovi ricercatori, e dalle fasce economicamente più deboli. Né la legge di riforma attualmente in discussione sembra dare risposte concrete: al di là delle sue formulazioni tecniche su questioni pur importanti come le forme di governo dell’Università o lo stato giuridico dei docenti, mancano infatti o sono incerti gli elementi strutturali senza i quali l’Università resta senza fondamenta.
Proverò ad elencare schematicamente tali elementi attraverso cinque precise domande al Ministro, dalle quali emerge fra l’altro come il problema dell’Università non riguardi solo gli addetti ai lavori ma la società nel suo complesso, famiglie e mondo produttivo.
Prima domanda. Quali sono le risorse realmente previste per il fondo di funzionamento ordinario 2010? Nessuno ancora lo sa. Alcuni Atenei rischiano di non essere in grado di chiudere i bilanci, di pagare gli stipendi, insomma di funzionare. Come devono regolarsi uno studente e la sua famiglia per decidere dove e con quali prospettive iscriversi?
Seconda domanda. La legge in discussione in Parlamento di fatto conferma la soppressione del ruolo di ricercatore a tempo indeterminato; inoltre la normativa ha reso pressoché impossibile anche assumere ricercatori a tempo determinato. Sappiamo peraltro che i ricercatori sostengono una parte rilevante dell’attività didattica necessaria per i requisiti minimi all’attivazione dei corsi di studio: chi terrà in piedi i corsi di laurea e con quali prospettive economiche e di carriera? Chi porterà avanti i progetti di ricerca? Su quali vette di età media del corpo docente e ricercatore vogliamo arrampicarci?
Terza domanda. L’Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR) non parte malgrado sia in gestazione da anni. Se è vero che la valutazione degli Atenei e dei singoli docenti è lo strumento fondamentale per un’equa distribuzione delle risorse superando il sistema delle distribuzioni “a pioggia”, quali le ragioni di un tale ritardo che genera frustrazione e disorientamento? Purché, naturalmente, l’ANVUR abbia indipendenza e risorse per poter lavorare davvero.
Quarta domanda. In un Paese dove la mobilità sociale e geografica è così rallentata, sappiamo che le residenze e in genere i servizi per gli studenti sono requisiti fondamentali per l’equità e l’efficienza del diritto allo studio. Esiste un piano di investimenti? Quali le risorse?
Quinta domanda. Il piano nazionale della ricerca potrebbe essere lo strumento per il rilancio della ricerca fndamentale in Italia, aprendo nuove opportunità con un programma articolato di interventi per progetti di ricerca e posizioni da ricercatore, assegnista e dottorando. Ad oggi disponiamo di un’elencazione di settori strategici senza nessuna indicazione di allocazione di risorse e di priorità. Poiché da questo piano dipende, anche nei confronti del mondo produttivo e degli interlocutori internazionali, la credibilità del nostro sistema pubblico di ricerca, è in grado il Ministro di presentare un programma non virtuale?
Ove queste domande restassero senza risposta la stessa discussione parlamentare sul disegno di legge rischierebbe di rimanere un esercizio astratto e la riforma un puro provvedimento punitivo, oltretutto dei settori meno responsabili delle attuali disfunzioni.
* Direttore della Scuola Superiore S.Anna e Presidente Forum Università Pd
da il Tirreno del 5 maggio 2010