C’è del metodo nella follia che si abbatte sul governo con lo scandalo Scajola, costringe il ministro alle dimissioni, e colpisce con uno sfregio il tabernacolo del potere berlusconiano, di cui l’ex titolare delle Attività Produttive fa parte fin dall’inizio, sedici anni fa.
Dopo che Repubblica aveva dato la notizia dell’inchiesta sulla casa del ministro pagata da un costruttore, il mondo berlusconiano ha tentato di far valere per alcuni giorni anche per Scajola lo specialissimo scudo di dissimulazione, banalizzazione, vittimizzazione che il Premier impiega abitualmente per difendere se stesso, quando spunta un’ipotesi di reato. Ma questa volta si è capito che lo scudo del potere è sbrecciato: di fronte all’evidenza dei fatti, alle testimonianze convergenti, all’incapacità di mettere in campo obiezioni concrete e fondate, la strategia del vittimismo, della “campagna mediatica”, del “fango” non ha retto. Il ministro ha dovuto dimettersi davanti alla pubblica opinione prima ancora che davanti ai rilievi dei magistrati e alle domande del Parlamento, dimostrando che Berlusconi alla fine sa proteggere soltanto se stesso, e che i cittadini attraverso i giornali possono far valere le buone ragioni di chi chiede conto al potere dei suoi comportamenti.
Si capisce perfettamente che il presidente del Consiglio, con l’immagine del governo deturpata dalle dimissioni obbligate del ministro, si lamenti dei giornali e del loro ruolo, come fa ogni volta che uno scandalo lo sovrasta. “C’è fin troppa libertà di stampa”, ha detto ieri, e non si capisce se è una denuncia o un programma. Effettivamente, la libertà di stampa che il Premier vorrebbe ridurre con la legge sulle intercettazioni ha portato alla luce lo scandalo, ha costretto il ministro a infilare una serie di contraddizioni e di spiegazioni impossibili, ha prodotto documenti e testimonianze di altri attori di questa vicenda, e infine ha indotto Scajola a firmare le sue dimissioni, per la seconda volta in pochi anni: a conferma, almeno statisticamente, dell’imperizia del Cavaliere nella scelta dei suoi collaboratori.
Ma il metodo è altrove, oltre la coazione a ripetere di Scajola, oltre la tentazione a coprire gli scandali del Cavaliere. Questa storia, infatti, promette di essere soltanto all’inizio, pronta ad allargarsi pericolosamente. Vediamo. Il ministro è accusato di essersi fatto comprare (per due terzi) una casa da un costruttore che è nel giro degli appalti di Stato, è al centro del turbine vorticoso della Protezione Civile, è pronto a trasformarsi – dicono le carte dei magistrati – in sbrigafaccende per i potenti che ruotano intorno a Palazzo Chigi. Scajola nega di aver avuto soldi da questo Anemone, ammette che qualcuno a sua insaputa potrebbe aver pagato in parte quell’appartamento a suo nome, parla di intimidazioni nei suoi confronti, fa intendere manovre politiche ai suoi danni, per farlo fuori. Ma non rivela nessun elemento che possa dar corpo ad una operazione orchestrata ai suoi danni, né fa i nomi dei manovratori che – forse nel suo partito – agirebbero contro di lui.
Resta in campo dunque soltanto l’ipotesi di una casa pagata coi soldi di un costruttore: tanto che sotto il peso di questa unica ipotesi, il ministro si deve dimettere. Ma un minuto dopo l’evidenza di questo peso giudiziario e politico, nasce una domanda obbligatoria, a cui Scajola – e non solo lui – deve rispondere anche dopo le dimissioni: perché un costruttore sborsa 900 mila euro per comperare la casa a un ministro? Qual è la ragione, quale la logica, quale il tornaconto? In sostanza: cosa ha fatto quel ministro, cosa ha fatto il governo di cui fa parte, per ottenere quella ricompensa? A quale obbligo di riconoscenza rispondeva il costruttore, per sdebitarsi così generosamente (e imprudentemente) con uno degli uomini più in vista, oggi come ieri, del governo Berlusconi?
Questa è una domanda che non può restare senza risposta. Le dimissioni risolvono un imbarazzo istituzionale ma non sciolgono il nodo di quel favore, la ragione politica, governativa, quindi pubblica, che sta dietro quell’operazione di mutuo soccorso di cui la pubblica opinione conosce soltanto un elemento, i 900 mila euro del costruttore per la casa del ministro. Ma in cambio di che cosa? Di quale favore evidentemente non confessabile, se ha un prezzo così alto e così intimo? Di quale promessa economicamente rilevante, se l’anticipo è di queste dimensioni? Di quale meccanismo di scambio collaudato e sicuro, se lo si olia con 900 mila euro?
Il punto politico è proprio qui, dove comincia il metodo. Scajola sembra essere soltanto uno degli attori di questa vicenda in cui si incontrano il governo, gli appalti, la Protezione Civile, la propaganda, l’emergenza, i grand commis profittatori, i magistrati compiacenti, i costruttori beneficati e benefattori. Un insieme che è stato chiamato la “cricca” impropriamente, perché non è il cast di un film dei Vanzina: è un vero e proprio “sistema” politico-affaristico, con gli appalti di Stato che in nome dell’emergenza sfuggono a ogni regola e a tutti i controlli, movimentano miliardi e producono un ritorno in favori d’ogni genere, dai massaggi alle ristrutturazioni delle case, dagli appartamenti pagati ai conti degli alberghi, alle prostitute, alle assunzioni dei parenti.
Nelle carte dell’inchiesta sulla Protezione Civile, questo sistema è descritto nei dettagli, disegnato con ritratti precisi ed espliciti. Anche se oggi si prova a dimenticarlo, quel “sistema” è venuto in parte alla luce, è sotto gli occhi di chi vuol vederlo, e qualcuno dovrà renderne conto. Proviamo a inserire Scajola e gli ottanta assegni dentro il perimetro di quel sistema e tutto diventa coerente, e comprensibile. Il ministro, probabilmente, non si riteneva immune personalmente, come il suo Capo: ma pensava e sapeva di far parte del “sistema”, perché conosceva i meccanismi di funzionamento, il nome e il cognome dei beneficati, le garanzie reciproche di sicurezza che legano gli appalti e i favori, all’ombra del governo.
Che ha da dire il governo, su questo? L’onorevole presidente del Consiglio? Chi spiega ai cittadini perché, e in cambio di che cosa, quel costruttore doveva comprare una casa al ministro? La domanda resta in campo, senza risposta fino ad oggi. La responsabilità penale è certamente personale: ma quella politica è più ampia, e il governo Berlusconi deve risponderne insieme con Scajola.
La Repubblica 05.05.10