Secondo la terminologia degli economisti, l’acqua nel bicchiere che abbiamo davanti al piatto è un bene privato (rivale ed escludibile). Secondo la “Legge Galli” (36/1994) “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche (mia sottolineatura) e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà” (art. 1, c. 1). Secondo i proponenti del referendum, per tutti il “Forum italiano dei movimenti per l’acqua”, l’acqua è un bene pubblico (non rivale e non escludibile) o, secondo altre versioni, un bene comune (o collettivo, che secondo il gergo economico, in questo caso meno consolidato, sarebbe un bene non rivale ma escludibile).
1. Prima di giungere in tavola, l’acqua scorre lungo un percorso più o meno lungo (captazione, filtrazione, pompaggio) e, una volta apparecchiata, ancora deve fluire attraverso il convogliamento dei reflui e la depurazione. Dunque, l’acqua, intesa come H2O, in sé è poca cosa. Conta soprattutto il servizio. Questo, mi sembra, è il primo e sostanzioso punto a sostegno del referendum che sottolinea la Relazione introduttiva ai quesiti referendari (redatta dai professori Azzariti, Ferrara, Lucarelli, Mattei, Nivarra e Rodotà1). “… in beni come l’acqua a valore aggiunto assai basso, tra proprietà formale del bene e delle infrastrutture e gestione effettiva del servizio vi è una tale asimmetria d’informazione, al punto da far parlare di proprietà formale e proprietà sostanziale, ovvero il proprietario reale è colui che gestisce il bene ed eroga il servizio”. Il fatto che l’acqua sia e rimanga pubblica poco importa e poco indebolisce il significato del referendum che (al di là della sua tecnicalità abrogativa) si condensa nella proposta di affidare la gestione solo a soggetti pubblici.
Tale richiesta si dovrebbe integrare nel principio comunitario di neutralità tra proprietà pubblica e privata enunciato all’art. 345 Tfue (ex art. 295 Tce). Non sembra aderire pienamente a tale neutralità l’art. 23 bis del dl 112/2008 (come modificato dalla legge 99/2009 e dal d.l. 135/2009), la cui abrogazione è l’obiettivo del primo dei tre referendum proposti. L’art. 23 bis prevede che la gestione dei servizi possa essere attribuita a soggetti privati o a società miste o in house (società totalmente pubbliche a “controllo analogo” a quello esercitato all’interno della pubblica amministrazione ordinaria). Rispetto alle altre due forme di conferimento, però, l’affidamento in house è considerato residuale e legato ad una verifica preventiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. (Indipendentemente dal referendum) il disfavore riservato alle società totalmente pubbliche dovrebbe essere colmato. Su questa via si è mosso il Consiglio di Stato (sezione V, sentenza 1282 del 5/3/2010) che ammette alla partecipazione alle gare “extraterritoriali” (al di fuori del territorio dell’ente proprietario della società in house) le società pubbliche attive nei settori dei servizi pubblici (e non quelle “strumentali” di cui all’art. 13 d.l. 223/2006 e successiva modificazioni). Tuttavia, l’obiettivo del referendum non è quello di porre tutte le imprese – pubbliche, private e miste – sullo stesso piano, ma di riservare l’intero settore italiano dell’acqua ad operatori pubblici. Probabilmente una scelta nazionale di questo tipo non contrasta con il citato principio europeo di neutralità. Sarebbe comunque bene che i promotori chiariscano il punto.
A favore di una soluzione tutto pubblico si può aggiungere che il concetto di mercato (privato) va tenuto separato dal concetto di concorrenza. E’ completamente impossibile immaginare una assetto concorrenziale animato da soli operatori pubblici? La Corte di giustizia europea con la sentenza “Teckal” del 1999 sembra lasciare spazio a questa ipotesi2.
2. Il referendum, pur abrogativo (come richiesto dal sistema), mira a creare un governo dell’acqua coerente e sostenibile basato sulla proprietà pubblica. Conseguentemente esso non intacca l’impianto del cosiddetto “Codice ambientale” (d.lgs 152/2006), se non strumentalmente, rispetto all’obiettivo della pubblicizzazione, riguardo all’aspetto delle forme di gestione (art. 150) e della remunerazione del capitale investito (art. 154, c. 1).
Per la verità, il Codice ambientale ha recentemente subito un vulnus significativo da parte del Governo che, nella legge di conversione del decreto sulle urgenze dell’Aquila, ha inserito un consistente deperimento dell’Authority colà prevista (art. 9 bis, legge 77/2009)3 .
Nel Codice ambientale (risultante dal taglio governativo e dalle modifiche apportate dall’eventuale accoglimento del referendum) rimangono (rimarrebbero) elementi che si inquadrano bene in una visione pubblica della gestione del settore. Tra l’altro: l’acqua “una risorsa che va … utilizzata secondo criteri di solidarietà” (art. 144, c. 2); “agevolazioni” per i consumi domestici essenziali e di determinate categorie (art. 154, c. 6); “promuovere l’informazione e la diffusione di metodi e tecniche di risparmio idrico” (art. 145, c. 1, lett. d); “adottare misure di protezione e … di ricarica delle falde” (lett. h); “prevedere reti duali” (c. 2); applicazione del principio “chi inquina paga” (per l’intero servizio integrato, artt. 154 e 155). Connessa anche con questo principio è la previsione di “installare contatori per il consumo dell’acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano” (art. 146, c. 1, lett. f).
Nel governo dell’acqua ci sono solidarietà, prevenzione e cura delle diseconomie esterne. Insomma, molto più “Stato” che “mercato”. Ma gestione pubblica non significa gestione in perdita. I promotori del referendum sembrano consapevoli della necessità di quadrare i bilanci, anche se talora lasciano intendere che l’aumento delle tariffe, registrato qua e là in Italia, sia dovuto al peso della proprietà privata. Anche in un contesto tutto pubblico i livelli tariffari saranno elevati per recuperare l’intero dei costi e, se del caso, per applicare il principio “chi inquina paga” (tenuto conto dell’elasticità al prezzo). La differenza, con i privati, è che l’eventuale eccedenza sui costi (compresi i costi di impianto) non assume la funzione dei profitti, ma rimane nella sfera pubblica, per finanziare ulteriori investimenti o, sottolineo, sgravi alle fasce deboli.
Quanto a queste ultime, i referendari propongono che il costo del consumo sociale (50 litri al giorno per persona) sia addossato alla fiscalità generale. E’ ipotesi coerente con l’impostazione complessiva, ma una considerazione realistica della finanza pubblica italiana dovrebbe consigliare la totale autosufficienza del settore. Anche recentemente i dati sull’Irpef hanno dimostrato che il carico tributario continua ad essere gravemente squilibrato a danno di lavoratori dipendenti e pensionati. Inoltre, il superamento dell’Ici prima casa rende necessario il recupero dei costi dei servizi locali per altra via. Se il consumo di acqua (oltre i 50 litri) fosse anche solo proporzionale al reddito, l’acqua stessa sarebbe un’accettabile base imponibile locale. Si tratta comunque di un dato empirico da verificare nelle diverse condizioni.
Rimane, infine, la questione delle privatizzazioni all’italiana. Esse, non sempre o raramente hanno offerto i risultati sperati, ma in ogni caso hanno ridotto il fabbisogno e il debito pubblico. Eliminare, come vuole il referendum, la remunerazione del capitale privato investito significa che gli investimenti nel settore sono finanziati con debito pubblico, il cui peso è noto e crescente. Almeno concettualmente, fatte salve le necessarie precisazioni sul conteggio delle passività delle società pubbliche, la via d’uscita potrebbe essere quella dell’azionariato popolare. E’ un’ipotesi contemplata dal Codice ambientale (art. 151, c. 8) da non lasciare cadere. Se, come si dice, il legame con il territorio è importante, le famiglie, una tantum, si comperino una quota dell’azienda dell’acqua.
Al di là delle definizioni economiche riportate all’inizio, l’acqua ha un forte significato simbolico, un significato non totalmente e facilmente spiegabile. Prendiamone atto. In sé, pubblico o privato non garantiscono l’efficienza, ma nel pubblico l’efficienza è possibile, oltre che doverosa.
1 Rintracciabile in www.acquabenecomune.org
2 L’Autorità di bacino metterebbe periodicamente a gara il servizio ma soltanto tra operatori pubblici. Secondo la Corte di giustizia europea , sez. V, 18/11/199, n. c-107/98, le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici sono applicabili “ove un’amministrazione aggiudicatrice, quale un ente locale,decida di stipulare per iscritto, con un ente distinto da essa sul piano formale e autonomo rispetto ad essa sul piano decisionale, un contratto a titolo oneroso avente ad oggetto la fornitura di prodotti, indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente sia a sua volta un’amministrazione aggiudicatrice o meno”.
3 Cfr. Massarutto A., 2009, A passo di gambero nei servizi idrici, www.lavoce.info , 8 settembre.
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