economia

"Attenti ai pensionamenti", di Stefano Fassina

Caro direttore, la ringrazio per l’attenzione che ha voluto dedicare alla mia intervista su Il Foglio del 29 aprile scorso. La ringrazio anche per le parole di incoraggiamento ad andare avanti nella demolizione del principio tax and spend, abitudine dura a morire nelle nostre fila.
Un’abitudine che viene, troppo facilmente, attribuita a chi si occupa per responsabilità istituzionali del tax, ma che, invece, dovrebbe estendersi, almeno in egual misura, a chi per corrispondenti, ma decisamente più gratificanti, compiti di governo, avvia lo spend. Chi è responsabile delle entrate si trova, infatti, a dover raggiungere, come è avvenuto nell’ultimo governo Prodi, obiettivi determinati dall’incapacità politica collegiale, dell’esecutivo e della maggioranza parlamentare, di controllare o ridurre la spesa pubblica. Posso testimoniare per esperienza diretta che Vincenzo Visco nel 2006-2008 avrebbe ovviamente preferito ridurre le imposte, invece che essere costretto a un brutale intervento di aumento del gettito per cogliere gli assurdi e ideologici obiettivi di indebitamento previsti nel Dpef del giugno 2006.
Infine, una breve ricostruzione storica. L’editoriale di Europa ritrova nelle mie parole a Claudio Cerasa sui temi fiscali il «nucleo più dirompente del Lingotto». L’osservazione è corretta.
Confesso: nelle risposte a Il Foglio ripropongo anche l’epicentro del discorso del Lingotto sul fisco, ossia la sostituzione del “vecchio” principio «pagare tutti, pagare meno» con il “nuovo” principio «pagare meno, pagare tutti». Tuttavia, confesso anche che l’affermazione sul fisco pronunciata da Walter Veltroni a Torino non era originale. In realtà, risaliva ad un quarto di secolo prima. Per l’esattezza, al primo aprile del 1984 (ma non era uno scherzo). Venne formulata, per la prima volta, in un’intervista a L’Unità dal titolo “Pagare meno ma pagare tutti: ecco la riforma”, seguito dal sottotitolo: «Ci vogliono imposte semplici e con aliquote basse». Chi era l’intervistato? Era l’allora deputato della sinistra indipendente Vincenzo Visco. Lo stesso personaggio che, 24 anni dopo, suggerì le proposte sul fisco contenute nel programma del Pd per le elezioni politiche del 2008. Insomma, caro direttore, bisognerebbe stare attenti a celebrare i pensionamenti.

da Europa Quotidiano

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Di seguito riportiamo l’intervista a Fassina dal Foglio del 29 aprile

“Caro Berlusconi, giù le tasse”
La spesa pubblica? Da tagliare. Il fisco? Da rivoluzionare. Il federalismo? Da approvare. Il responsabile Economia del Pd presenta tre proposte per firmare con la maggioranza un patto sull’economia.
La spesa pubblica da tagliare, il fisco da rivoluzionare e il federalismo da approvare. Eccole le tre proposte choc di politica economica che nei prossimi giorni arriveranno sulla scrivania del segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani. Tre proposte concepite “con l’idea di creare una nuova cultura economica del centrosinistra” e anticipate dal responsabile del settore del Partito democratico, Stefano Fassina, in questa intervista al Foglio. “Per il bene dell’Italia, deve essere responsabilità del maggior partito dell’opposizione uscire fuori dal chiacchiericcio quotidiano della politica inconcludente e prendersi la responsabilità di fare delle proposte alla maggioranza per far funzionare meglio il nostro paese.

In una fase legislativa potenzialmente costruttiva caratterizzata da tre anni senza grandi elezioni, al di là dei preoccupanti scazzi interni alla maggioranza, bisogna avere il coraggio di incalzare quanto più possibile il governo su alcuni temi che per noi sono cruciali. La politica economica, in questo senso, è un terreno sul quale occorre confrontarsi in modo sereno e il prima possibile; ed è proprio per questo che crediamo sia giunto il momento di rompere alcuni tabù della nostra storia e mettere in gioco le nostre idee, anche a costo di scontentare qualcuno”.

Negli ultimi tempi, molti dirigenti del Partito democratico si sono convinti che la scarsa percezione di solidità della leadership di Bersani sia stata legata soprattutto a una difficile gestione della materia principale del bersanismo: ovvero l’economia. I temi economici erano stati gli argomenti attraverso i quali il segretario del Pd aveva promesso, all’inizio del suo mandato, che avrebbe incalzato il più possibile la maggioranza; ma fino a oggi le prove di forza del Pd su questa materia sono state obiettivamente poco incisive. “Abbiamo commesso alcuni errori – riconosce Fassina – e va ammesso che non siamo stati sempre abili a far emergere la nostra identità su temi delicati come quelli economici. Fatta questa riflessione, credo sia arrivato il momento di disegnare e progettare per il nostro partito una nuova cultura economica, capace di essere una sintesi perfetta delle nostre tradizioni e una buona rielaborazione delle esigenze del nostro elettorato. Ebbene, per un paese economicamente e socialmente evoluto come l’Italia, è inutile nascondere che in questo momento, per sostenere la crescita, una rivoluzione fiscale è tra le priorità”.

Fassina ha letto con attenzione la proposta formulata la scorsa settimana su questo giornale dall’Ingegnere Carlo De Benedetti per abbassare le tasse, ed è proprio dalle parole dell’editore del Gruppo Espresso che inizia il ragionamento. “Bisogna smettere di credere che la questione dell’abbassamento delle tasse sia soltanto una fissa degli integralisti del liberismo. Non è così. Conosciamo perfettamente i dati che ci arrivano costantemente dall’Ocse ed è sciocco nascondersi: oggi l’Italia è ai primi posti nel mondo per pressione fiscale e a questo, come notava giustamente De Benedetti, va aggiunto che i lavoratori italiani hanno una delle più pesanti tassazioni europee sulle proprie buste paga. E allora: come si fa a rilanciare la propensione al consumo degli italiani, dando loro la certezza di guadagnare di più, subito e in prospettiva? Abbassando, quanto possibile, le imposte”. Fassina entra nel merito della sua proposta. “La riforma fiscale che abbiamo in mente, e di cui parleremo sia al presidente della Repubblica sia al presidente del Consiglio, deve premiare i produttori, i lavoratori, i professionisti – artigiani e commercianti – e naturalmente gli imprenditori; deve fare in modo di recuperare la progressività, semplificando gli adempimenti (dove per adempimenti si intendono dichiarazioni fiscali e pagamenti delle imposte), ossia rendere meno onerosa per il contribuente la fedeltà fiscale. Si deve dunque spostare il prelievo da chi paga a chi non paga, dai redditi da lavoro e impresa alla rendita e al patrimonio, dalle attività green e sostenibili alle attività black e dannose per l’ambiente.

Piccolo particolare da non sottovalutare: data la nostra condizione di finanza pubblica, e dato lo scenario accidentato che ci ritroviamo di fronte a noi, il vincolo per poter dar vita a questa riforma è la neutralità in termini di indebitamento. In sostanza, il carico fiscale pro capite sul lavoro e sull’impresa – ovvero Irpef, Ires e Irap – deve scendere in relazione all’emersione di basi imponibili, e al contributo di altre fonti di entrata e alla riduzione (e riqualificazione) della spesa pubblica”. Ovvero: “Niente riforma fiscale se non si ridiscute, oltre al recupero di evasione, sul modo in cui viene gestita, e spesso sperperata, la spesa pubblica”. “Il baricentro della riforma – continua Fassina – è la tassazione dei redditi, di tutti i redditi, con un’aliquota di riferimento al 20 per cento. Per quanto riguarda l’imposta sul reddito delle persone fisiche, oggi al 23 per cento, è necessario che la prima aliquota venga immediatamente abbassata di tre punti.

Non solo. Il limite del primo scaglione di importo andrebbe innalzato, e contemporaneamente andrebbero ridisegnati gli scaglioni residui per sostenere i redditi delle classi medie diminuendo il numero delle aliquote: cinque sono davvero troppe. Infine, per semplificare il fisco, e su questo sono d’accordo con il ministro Tremonti, si dovrebbe disboscare la giungla di deduzioni e detrazioni riconducendola a razionalità”. Altro punto della riforma proposta da Fassina: “Per il lavoro femminile e la famiglia, andrebbe invece introdotta una consistente detrazione fiscale ad hoc per il reddito da lavoro delle donne che si trovano in nuclei familiari formati almeno da tre figli minori. Gli assegni familiari e la detrazione per figli a carico andrebbero superati assegnando un bonus famiglia di 3.000 euro all’anno per ogni figlio – a cominciare dalla fascia 0-3 anni – da estendere anche ai lavoratori autonomi e ai professionisti. E proprio ai lavoratori autonomi e professionisti, quelli che si trovano al di sotto dei 70 mila euro di fatturato annui, andrebbe offerta la possibilità di evitare gli studi di settore e scegliere un’imposta sul reddito di cassa, al 20 per cento, che sia sostitutiva di Irpef, dell’Iva, e dell’Irap. Infine, per chiudere il cerchio dell’armonizzazione del prelievo, i redditi da affitto e i redditi da capitale andrebbero sottoposti a imposta del 20 per cento, e il relativo gettito destinato alla fiscalità comunale. La service tax proposta dal ministro Calderoli ha un impatto troppo regressivo”.

Gli studi di settore, come è noto, sono uno strumento introdotto nel 1998 dall’allora ministro delle Finanze Vincenzo Visco. Il loro compito è quello di raccogliere un insieme di dati che caratterizzano l’attività in cui operano le imprese, con l’obiettivo di valutare la capacità reale di produrre reddito. Uno strumento che secondo Fassina – che di Visco è stato collaboratore e che con Visco lavora all’interno della fondazione Nens – oggi “è sinonimo di un’insostenibile carico fiscale e contributivo per una parte consistente della platea di lavoratori autonomi, e di giovani professionisti, e per questo andrebbe rapidamente abolito”. L’aggettivo “insostenibile” Fassina non lo usa in maniera casuale. Il responsabile del settore economico del Partito democratico, infatti, riconosce che, tra i tanti tabù di cui si deve liberare un partito che ambisce a diventare una valida alternativa all’attuale maggioranza, ce n’è uno che riguarda una “drammatica percezione”: quella che il centrosinistra sia il partito delle tasse.

“Sì: il centrodestra fa davvero poco per dimostrare di non essere il partito che aiuta gli evasori – e il caso dei condoni resta a mio avviso una scelta politica che non potrà mai essere apprezzata da un vero partito di centrosinistra – ma dall’altra parte una realtà riformista come la nostra non può dimenticare che la storia dell’Italia dimostra che in molti casi l’evasione fiscale, oltre che patologica, è stata anche condizione di sopravvivenza di una parte consistente del pulviscolo di imprese individuali e delle moltitudini di lavoratori autonomi. Per questo, bollare come ‘ladri’ gli evasori, come fanno invece troppe persone a sinistra, è un’assurda generalizzazione; astrattamente condivisibile, ma sbagliata sul piano etico e perdente sul piano politico: perché mette insieme l’artigiano stressato da quattordici ore di lavoro al giorno, e costretto all’evasione per rimanere – o, almeno, illudersi di essere – nelle ultime file delle classi medie e l’imprenditore con yacht e case per le vacanze sparse per l’Italia che magari evade le tasse solo per profondo egoismo sociale. Parliamoci chiaro – dice Fassina – c’è davvero qualcuno convinto che la spaventosa pressione fiscale che si ha in Italia – con aliquota individuale massima al 43 per cento contro una media del 35,7 per cento nel resto dell’Europa – sia utile alla crescita e al benessere del paese? Sinceramente, io credo di no”.

Dall’altro lato, dice ancora il dirigente romano del Pd, bisogna tentare in tutti i modi di riportare alla normalità europea l’evasione fiscale. “Sì, è questa la vera condizione per la riduzione del prelievo pro capite. Diciamolo in sintesi: potenziamento delle banche dati, tracciabilità dei pagamenti, accesso dell’Agenzia delle entrate alle informazioni bancarie. In più, a mio avviso, andrebbe messa in Costituzione l’impossibilità di fare condoni, o almeno andrebbe prevista una maggioranza qualificata (ad esempio dei due terzi) per attuarli in caso di estrema necessità”.

Fassina torna poi a ragionare su uno dei punti chiave della proposta fatta da De Benedetti su questo giornale. “Ha ragione l’Ingegnere quando dice che ridurre il peso del fisco sul lavoro si deve e si può. Per quanto riguarda le imprese, dalla base imponibile Irap, imposta ingiustamente odiata dai ‘piccoli’ perché grava all’80 per cento sulle società di capitali, come evidenzia un recente studio di Confartigianato, andrebbe eliminato del tutto il costo del lavoro. Inoltre, per favorire l’innovazione, andrebbe cancellato l’oppressivo ‘click day’ (un meccanismo che ponendo un tetto al credito di imposta che di fatto svuota l’incentivo) e ripristinato in pieno il credito di imposta per le spese in ricerca e sviluppo e per gli investimenti nel Mezzogiorno. Aggiungo che nell’attuale emergenza andrebbe sospeso il limite del 30 per cento alla deducibilità Ires degli interessi passivi (interessi che non possono penalizzare un’azienda che in una fase di crisi generale non fa utili). In prospettiva, si potrebbe persino arrivare a eliminare l’imposta sulle società e tassare il reddito esclusivamente in capo ai soci”.

Detto in altre parole, Fassina vuole dire che se una società non ridistribuisce gli utili ma investe nell’azienda quanto guadagnato, ecco, le tasse non le deve pagare. “In più, altro particolare da considerare con attenzione, la detrazione fiscale del 55 per cento, introdotta nel 2006, per le ristrutturazioni edilizie eco-sostenibili andrebbe resa permanente: era una buona idea dell’ultima legge finanziaria ma è stata troppo presto dimenticata”.
Una “cattiva idea” avuta invece dai compagni di partito è, secondo Fassina, la proposta presentata alla Camera da Cesare Damiano la scorsa settimana, quando l’ex ministro del Lavoro, nel corso dei lavori in Aula, ha invocato un’introduzione di un “contributo fiscale di solidarietà” sui redditi superiori a 200 mila euro annui. Motivo? Prolungare da dodici a ventiquattro mesi la cassa integrazione ordinaria. “Non dobbiamo cadere nella trappola del tax and spend – commenta Fassina – del partito che per poter svolgere con correttezza le sue politiche di welfare ricorre alle tasse. Posso dire senza problemi che è stato sbagliato quanto ha fatto il gruppo del Pd alla Camera, proponendo di aumentare le imposte sui redditi più elevati per coprire l’estensione della cassa integrazione. Il bisogno di introdurre altre tasse sinceramente io non lo vedo proprio”.

All’interno della proposta democratica di rivoluzione fiscale, c’è poi un particolare che va tenuto in considerazione dalla maggioranza. Riguarda il federalismo: “Sono convinto – sostiene il responsabile dell’Economia del Pd – che il governo commette un grosso errore quando, portando avanti una poco comprensibile politica dei due tempi, ripete che una riforma fiscale può essere fatta soltanto dopo il federalismo. Non è così. La ruota dei decreti attuativi del federalismo fiscale, lo sappiamo tutti, ha iniziato a girare da mesi: la commissione tecnica presso il ministero dell’Economia e la commissione Bicamerale sono al lavoro su questo terreno da settimane, e il Pd – questo deve essere chiaro – non avrebbe grandi problemi a discutere le proposte portate in commissione sia dalla Lega sia dal Pdl. Ma a condizione che si capisca urgentemente una cosa fondamentale: la rivoluzione fiscale non può che avvenire simultaneamente alla rivoluzione federalista del nostro paese: non si può sfiorare la tassazione territoriale senza una visione generale della riforma complessiva del fisco. Per questo – dice ancora Fassina – è necessario allargare il lavoro della commissione Tecnica e della commissione Bicamerale per affrontare insieme almeno l’impalcatura del disegno fiscale generale. Subito, senza rinviare. Esistono gli spazi istituzionali e le convergenze politiche per arrivare – su un punto cardinale della Costituzione materiale del paese – a soluzioni ampiamente condivise, e sarebbe sciocco buttare questa grande occasione che abbiamo: migliorare la vita dei nostri cittadini”.

Fassina dice di non considerare affatto scontato un dialogo con la maggioranza su un tema delicato come quello del fisco; ma su un altro terreno politico è invece convinto che si possa raggiungere qualche risultato immediato, anche piuttosto in fretta. “In campo europeo, dobbiamo ammetterlo, spesso le iniziative del ministro Tremonti sono largamente condivisibili. Per quanto riguarda il caso Grecia, la posizione del governo italiano è giusta e va sostenuta. E proprio sul terreno della politica europea sono convinto che sia arrivato il momento di aprire con la maggioranza un confronto. L’obiettivo prioritario, verso il quale il Parlamento dovrebbe lavorare unito, è quello di promuovere una governance di politiche comune in Europa. I seicento milioni di euro messi in gioco dalle Casse depositi e prestiti europee con il così detto ‘Fondo Marguerite’ – ottima iniziativa voluta dal ministro Tremonti – sono utili ma sono ancora insufficienti. Dobbiamo lavorare, insieme ai partner comunitari, a un ‘piano europeo per il lavoro’”.
Secondo Fassina, sarebbe poi utile insistere, in sede europea e Ocse, per trovare una soluzione per contrastare il tax dumping. “La competizione fiscale al ribasso praticata da molti paesi europei dell’est è una vera e propria forma di concorrenza sleale per i mercati dell’Unione europea e va risolta.

Credo infine che l’Italia, in stretta relazione con i pochi altri paesi europei consapevoli della necessità di regole globali per evitare serie regressioni protezioniste, dovrebbe premere affinché in ambito europeo, nel G20 e nel Wto si valuti un’ipotesi di border tax adjustment. Ovvero di una tassazione sull’import di prodotti e servizi irrispettosi di standard sociali e ambientali minimali – come capita per esempio con troppi beni provenienti dalla Cina. La nostra disponibilità a discutere di tutto questo c’è: ora tocca al ministro Tremonti dire se vuole trovare assieme a noi delle buone idee per migliorare il nostro paese”.

Il responsabile del settore Economia e Lavoro del Partito democratico si chiama Stefano Fassina, ha quarantaquattro anni, fa parte della segreteria del Pd ed è direttore scientifico dell’associazione Nens. Fassina è uno dei collaboratori più stretti del segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Dal 1996 al 1999 è stato consigliere economico del ministero del Tesoro (ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi). Dal 2000 al 2005 ha lavorato a Washington al Fondo monetario internazionale. Dal 2006 al 2008 ha lavorato con Visco al ministero dell’Economia e delle Finanze.