La scuola è la mia casa, aperta tutto il giorno e tutto l’anno», proponeva su queste colonne Luigi Berlinguer. Mi sembra un’idea meravigliosa e rivoluzionaria, da cui far partire il nostro «progetto per l’Italia», per mobilitare energie, persone, intelligenze, per farne un nuovo movimento. Immaginiamo la scuola come luogo fondante di comunità, dove oltre ai necessari insegnamenti curricolari ci si può fermare il pomeriggio per studiare, fare sport, suonare, recitare, imparare le lingue. Dove diventa un valore anche l’apprendimento non formale e informale. Immaginiamo mamme che non devono più correre per accompagnare i figli ad imparare ciò che a scuola non si può fare. «Una scuola per ricchi», la chiamerebbe la Gelmini. Io la chiamo «una scuola per tutti». Una scuola dove i ragazzi di oggi trovano davvero interessante stare e studiare. Per progettare una scuola pubblica come questa, occorre costruire insieme un nuovo sistema scolastico.Unrinnovato rapporto di attribuzione di competenze e risorse tra Stato e Regioni, nuova formazione per reclutare gli insegnanti, nuovi spazi in cui vivere e studiare. «Non ci sono le risorse! » diranno i disfattisti, i rassegnati e gli ultra realisti. Basta comprare qualche tonnellata in meno di inutilizzati vaccini influenzali, rinunciare ai caccia bombardieri e scommettere sul futuro del Paese. Lo chiedono gli obiettivi di Europa 2020. Per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Per tornare ad avere alti tassi di occupazione, produttività e coesione sociale, dobbiamo dimezzare il nostro tasso di dispersione scolastica e quasi triplicare il numero di laureati. Solo costruendo una società della conoscenza diffusa ci salveremo nella competizione globale. E’ la scuola del «non uno di meno» con cui Mariangela Bastico contrastò in EmiliaRomagna la contro riforma Moratti. Cina, India e Brasile investono in conoscenza e galoppano veloci. E noi? I divari abnormi tra nord e sud del Paese nei livelli di apprendimento sono presto spiegati: nel mezzogiorno sono pochissimi i posti al nido e una rarità il tempo pieno nella scuola primaria. Come dimostrano le scienze pedagogiche e le ricerche economiche, gli interventi educativi precoci nell’infanzia possono recuperare le situazioni svantaggiate. Trasformare il nido d’infanzia da servizio a domanda individuale a diritto educativo, come propone Anna Serafini, fornendo servizi di buona qualità, è la risposta giusta per creare benessere e sviluppo in ogni bambino, per sostenere la genitorialità e favorire l’occupazione femminile. Dobbiamo generalizzare il diritto alla scuola dell’infanzia, quando ancora è negato in vaste zone del Paese. Il cantiere aperto per il progetto per l’Italia chiedeva al Partito Democratico rinnovamento, visione, coraggio. Iniziamo dalla scuola.
*Responsabile scuola PD
L’Unità 01.05.10